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Lettera di una docente ai suoi alunni: coltivate i vostri sogni

Di Maria Rosaria De Simone

 

Cari studenti,
siamo infine giunti agli ultimi istanti, alle ultime lezioni di un anno scolastico assai particolare, che spero un giorno racconterete ai vostri figli e nipoti.
Quando vi ho conosciuto, nel settembre scorso, vi ho trovato demotivati allo studio, quasi arresi a iniziare un nuovo anno scolastico col triste destino di ingoiare, volenti o nolenti, pillole indigeste di Italiano, di Storia e di tematiche culturali.
L’ultimo banco era il più ambito per potere, con comodo, rilassarsi in un sonno ristoratore durante le lunghe ore di spiegazioni. Soprattutto voi maschi avete occupato gli ultimi posti, col ‘diritto’ ( illecito) dell’imposizione del più forte e anche, in effetti, dall’alto della vostra statura che mal si conciliava, comunque, con banchi modello ‘7 nani’..
Da sotto quei poveri banchi, spuntavano, inesorabili, le vostre lunghe gambe, a intralciare le compagne delle file davanti.
In verità, lungo la fila sinistra, agli ultimi posti, sedevano anche due compagne che hanno ben difeso, con le unghie e con i denti, il loro privilegio al dolce dormire, nascoste, dai soffici gomitoli delle teste delle altre compagne.
Non mancava neppure una studentessa dal volto dolce come una Madonna del Perugino e un vocione da scaricatore di porto, che mostrava a voce alta il suo dissenso, sbuffando per il solo fatto di essere in classe.
Che dire?

 Ho provato una immediata empatia per voi, vi ho osservato, ho voluto conoscervi, ho chiesto quali fossero i vostri sogni nel cassetto, le vostre aspirazioni più o meno segrete, il vostro rapporto con l’Istituto, che avete scelto con consapevolezza e che vi preparerà a essere cittadini non solo del nostro bel paese, ma del mondo, con competenze nel ramo turistico.
-Non ho sogni, prof.-
-Neppure io-
-Sogni? Per farne che?-
Mi rispondevate stupiti e io ancora più stupita di voi, perché la giovinezza li reclama, i sogni, a gran voce, con ogni anelito dell’anima.
-Non ho sogni, prof.-, mi avete detto.
-Non ci credo, un sogno dovete pur averlo, uno straccio di sogno. Cercatelo, indagate dentro di voi, per domani voglio un sogno-
-In effetti, prof.- mi avete detto qualche giorno dopo -io un sogno ce l’ho.- -Anch’io.-
-Pure io, prof.-
-Io no, sogni non ne ho.
Siamo partiti da lì, da un mondo senza certezze, timido o che nulla si aspetta dalla vita, che vede la scuola come una struttura che imprigiona corpi e menti.
Siamo partiti da lì.
Abbiamo spostato i banchi, li abbiamo uniti e preparato delle postazioni più comode per lavorare in gruppo, per potersi spostare tra fogli, colori penne, libri e matite.
Sono passate sulle vostre teste le mie strategie didattiche, e cercare di carpire la vostra curiosità, i più piccoli sprazzi di interesse.
Abbiamo aperto libri, scritto sulla lavagna frasi giornaliere su cui operare riflessioni, abbiamo indagato la poesia, il teatro, la grammatica, oh la grammatica, questa sconosciuta, abbiamo fatto a pezzi le frasi sgrammaticate e le abbiamo ricomposte, abbiamo cercato i congiuntivi, rapiti dall’ignoranza ( nel senso di ignorare) e li abbiamo portati in salvo.
Abbiamo cercato i significati più profondi delle parole, il significato connotativo che vi si celava. Abbiamo sperimentato, letto, scritto, scritto

 tanto, ripetuto, aripetuto, guardato senza sospetto i contenuti disciplinari, abbiamo ingessato i riassunti, i temi, i pensieri storpiati nella grammatica e nella sintassi e abbiamo aspettato che guarissero.
Abbiamo usato la Smart TV per le nostre ricerche e anche i cellulari che, una volta tanto, non sono serviti a parlare di nascosto col mondo ‘fuori’.
Per voi, per introdurre lo studio del testo teatrale, ho anche scritto una operetta teatrale dedicata al Natale, in cui abbiamo inserito i versi dei nostri grandi poeti italiani.
Non vi siete tirati indietro. Avete provato, riprovato, proposto cambiamenti e personalizzato le battute.
Che gran lavoro!
Avete anche letto il mio romanzo “Baby Giulia”. Insieme abbiamo analizzato la scrittura e affrontato i temi legati al mondo giovanile, di cui non è facile parlare: solitudine, alcol, droga, rapporti interpersonali, paure e sogni, appunto.
Sogni.
Èquestochevorreilasciarvi,cari ragazzi.Unsogno,dicuinondovetemai lasciare il filo che lo tiene in volo.
Un sogno ciascuno. Custoditelo. Non dimenticate che siete unici, importanti, che Qualcuno vi ha voluto e che questa vita, nonostante i tanti problemi, vale la pena di viverla.
“Fate della vostra vita un capolavoro” diceva Papa Giovanni Paolo II.
Un capolavoro.
Molti passi avanti li avete compiuti, avete imparato tanto, molti sfondoni grammaticali sono stati corretti, altri ancora rimangono, ma sono sicura che se continuerete a curare la vostra preparazione, sarete ben preparati sotto il profilo culturale.
Soprattutto, avete imparato a ragionare, indagare, a ricercare. A studiare, anche.

 Vi ho assillato con la perfetta grafia. Molti di voi impugnavano le penne come se fossero delle spatole da calce. Non avrete studiato dalle Orsoline (è un modo di dire), ma ci siamo andati vicino. Scrivere con un tratto chiaro e regolare aiuta tanto. E ora direi che non mi posso più lamentare.
La ragazza col volto da Madonna del Perugino ha abbandonato il suo vocione, non sbadiglia più rumorosamente ed è sempre la prima a intervenire e a svolgere i compiti.
Le due ragazze ai banchi in fondo a sinistra sono diventate serie e diligenti. Sono passate dal 4 constante al 7 e anche all’8.
I maschi, grido al miracolo, studiano e fanno i compiti, anche se talvolta li minaccio: -Se osate non fare i compiti o non intervenire alla DAD, vi faccio pedinare dal commissario Luca Lo Cascio di “Baby Giulia”-
Che dire della DAD? In una stanza, assieme ai genitori che lavoravano in Smart working, una settimana da papà e una da mamma, i libri in viaggio con voi, i cani, il cavallo al maneggio che non vedevate l’ora di rivedere, i fratellini piccoli giocosamente impegnati a distrarvi, il Wi-Fi che non funzionava, la scheda del cellulare scaduta e tantissimi altri problemi.
-Professoressa non sento, non vedo, la voce viene a tratti, il compito scritto non è partito, si è arenato nella mail…-
Quanti problemi superati con pazienza. Da parte mia, ma anche da parte vostra. Ormai siamo schegge.
Non vorrei dimenticare anche i vostri bravissimi professori delle altre discipline che vi hanno supportato e, perché no, sopportato durante tutto il corso dell’anno. Quante volte, nei corridoi abbiamo parlato di voi, quante riunioni e consigli di classe. E quante volte voi avete parlato di noi. Una volta ho sentito alcuni ragazzi di un’altra sezione, sull’autobus, che parlavano di me, riportando alcuni vostri commenti.
Vorrei terminare qui.
Adesso tocca tocca a voi.
Scrivete una lettera e indirizzartela alla vostra professa di Lettere.
Questo è l’ultimo compito scritto dell’anno.
Mi raccomando, dopo tutte le lodi sperticate che vi ho rivolto, impegnatevi.