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Vincenzo Musacchio: “Diciamola tutta, per fare carriera in Italia servono gli appoggi, il merito conta poco o nulla.”

Intervista di Lucia De Sanctis (Blogger e studentessa Uni-Sapienza Roma)

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark. Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Professore cosa pensa del fatto che Palamara fosse il punto di riferimento reale per fare carriera all’interno della magistratura?

Il caso di Luca Palamara, ex presidente dell’ANM e componente del CSM è emblematico di ciò che accade nelle varie professioni. Partiamo, ad esempio, dai concorsi universitari di cui ho conoscenza diretta. In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Ciò accade in quasi tutte le professioni e i mestieri. È inutile negarlo sarebbe misera ipocrisia. Palamara si definisce un mediatore ma non lo è affatto poiché non sceglie i più meritevoli.

Cosa significa che non è un mediatore?

Sarò più esplicito. Palamara, non mediava selezionando in base al merito ma faceva nominare i vertici degli uffici indipendentemente dal valore delle persone ma solo in relazione ad equilibri di potere e nell’ambito delle correnti. Del resto lo ha detto lui stesso ammettendo di utilizzare il famoso manuale Cencelli in auge tra i politici.

Nessun merito, solo logica spartitoria?

Certamente. Ripeto che questo criterio trova applicazione in tutte le professioni soltanto che noi facevamo finta di non sapere che accadesse anche per i magistrati. La magistratura che conosco e frequento da oltre venticinque anni è piena di persone valide e capaci, ma questi non fanno carriera se non appartengono a correnti che si spartiscono i ruoli apicali.

Lei dipinge un quadro davvero preoccupante, non crede?

Le intercettazioni che ho potuto leggere contengono frasi che fanno ribrezzo. Si parla di propaganda elettorale e ricerca di voti per nominare un magistrato piuttosto che un altro. Il nominato al ruolo apicale poi come può essere autonomo ed indipendente? È il medesimo meccanismo del professore universitario che crea il concorso da ricercatore per il suo assistente volontario poi quest’ultimo come può non essere riconoscente verso il suo benefattore? 

Come si può uscire da tutta questa immoralità?

Con un rinascimento dell’etica che purtroppo non c’è. Sono molto pessimista perché i nominati ai posti di potere sono tutti complici consapevoli di questo sistema. L’etica e l’onestà sono innanzitutto valori personalissimi e costituiscono un patrimonio intimo difficile da attuare in una società che sceglie per convenienza e non per bene comune.

Da quando esiste questo sistema?

Credo da sempre. Per la magistratura lo ricordo già ai tempi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per l’università le baronie hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo con diritto di vita e di morte. Il merito è solo lo specchietto per le allodole per raggiungere scopi personali e di piccoli gruppi di potere.

Lei è associato in una università americana e ricercatore in una inglese ed è stato contrattista in Italia come mai?

Amo insegnare e mi appassionano le scienze criminali ma ad un certo momento in Italia capii che questa mia propensione sempre libera ed indipendente era impossibile da portare avanti. Occorreva “vendersi” e io non solo non l’ho fatto ma ho denunciato le varie storture del sistema per cui sono diventato il nemico da combattere e abbattere.  Quando ho partecipato a qualche concorso ho visto e subito cose che gli umani non possono concepire, ho denunciato, senza alcun risultato, per cui, poi ho preferito abbandonare tutto.

Questa intervista mi lascia davvero esterrefatto lo sa?

Beh se devo essere sincero il fatto più triste è che vi sia una così grave degenerazione di funzioni di Stato e sociali nella più totale indifferenza dei cittadini italiani.