Dad ovvero la scuola al tempo del Coronavirus: il racconto

“Prof., le dispiace se rimaniamo in videolezione così facciamo due chiacchiere?”. Parole che in epoca pre-coronavirus un docente non si sarebbe mai nemmeno sognato di ascoltare. A restare connessi quella volta, al termine dell’orario stabilito per la lezione, sono oltre i due terzi del 3E. Non è un caso isolato, è capitato sempre più spesso nel corso di una quarantena che ha visto la nascita della Dad: acronimo prima sconosciuto (sta per Didattica a distanza) oggi davvero sulla bocca di tutti, anche dei non addetti ai lavori.

Il Covid-19 ci ha sottratto cose preziose. A quasi tutti la tranquillità. Ad alcuni i propri cari. Ad altri ancora la stabilità economica. A studenti e insegnanti ha portato via mesi preziosi da vivere insieme, in quel luogo amato e odiato (ma sempre rimpianto) che è la scuola. Da fine febbraio nelle zone rosse, da inizio marzo in tutto il resto d’Italia, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado hanno sbarrato le loro porte a tutti. Si diceva di Dad, o Didattica a distanza, ma cosa ha voluto dire nello specifico per milioni di studenti e centinaia di migliaia di docenti? Unica alternativa alla sparizione del sistema scolastico durante la fase più acuta della pandemia, non ha lasciato soli gli studenti. Una sorta di Didattica dell’emergenza (Dde) che ha portato con sé inevitabili criticità ma anche aperto a nuove importanti possibilità.

“Prof, non riesco a contattare la scuola e non ho un Pc a casa come posso fare?” chiede Giulia in 4E. Il primo problema è stato, infatti, quello del rischio di esclusione. “Il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario” ha spiegato di recente l’Istat. La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha rivendicato l’arrivo di fondi alle scuole per colmare il gap di accesso ai device: una prima tranche di 70 milioni di euro con il decreto Cura Italia, a cui si sono aggiunti in seguito altri 80 milioni. Ma, si sa, i tempi tecnici oltre a quelli della burocrazia hanno impedito a molti di averne uno in tempo. “Giulia, ho un vecchio portatile a casa. Lo formatto e te lo presto io, non è il massimo ma dovrebbe fare il suo lavoro” propone il giovane docente di Filosofia. Perché essere italiani vuol dire, spesso, anche arte di arrangiarsi.

“Ciao, mi hanno detto che tu sai come far funzionare questo google meat (sic), se ti chiamo potresti darmi una mano?”. In un mondo sempre più digitalizzato, l’alfabetizzazione digitale è un’abilità essenziale. Eppure ai docenti non viene richiesta alcuna competenza digitale, nemmeno i concorsi in partenza la ritengono un requisito da valutare. Potrebbero averle i più giovani, in un corpo docente che, però, ha un’età media fra la più alte d’Europa. Il problema non è solo del sistema educativo avverte il rapporto Desi 2020 diffuso dalla Commissione Ue. Il 17% degli italiani non ha mai usato internet e solo il 74% lo usa abitualmente. Nel nostro Paese solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’Ue) e solo il 22% vanta competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’Ue). Nella classifica dei Paesi Ue siamo scesi dal ventiquattresimo al venticinquesimo posto. “Pronto Mariella, sono il collega di Storia. Ti aiuto io passo passo, ma fidati sono applicazioni molto intuitive”. In molti casi, non ci si è persi d’animo e ci si è dati una mano a vicenda, per quanto possibile. “Senti mi ha detto un’alunna che non avendo più giga si connetterebbe alla videolezione tramite rete telefonica, ma non è che poi pago io in bolletta?”.

La Dad è diventata obbligatoria in Italia soltanto l’8 aprile, ma neanche per quella data molti docenti hanno attivato delle reali modalità di comunicazione con gli studenti. “Prof., non è che potrebbe aiutarci lei in italiano anche se non è la sua materia? La sua collega ci carica un sacco di materiale tramite il registro elettronico, ma non riusciamo a capire alcune cose…”. O ancora “Prof. siamo i suoi studenti dell’anno scorso, ci farebbe qualche videolezione visto che i nostri insegnanti si rifiutano?”. Anche un semplice gruppo Whatsapp con le proprie classi per molti è fantascienza: come dire il mondo cambia ma io faccio le 18 ore di lezione tradizionali (se va bene..) in aula e basta. La scuola italiana è fatta di persone straordinarie, che si sono rimboccate le maniche lavorando il doppio del normale per sopperire alla situazione creata dal Covid-19, ma è anche fatta da tante persone che dentro un’aula non sarebbero mai dovute entrare. La Dad ha messo ancora di più alla luce il divario fra istituti ben organizzati, dal vertice fino all’ultimo collaboratore scolastico, e fra chi sente il mestiere dell’insegnante come una vocazione e chi come uno stipendio da ottenere col minimo sforzo. “Il contratto non prevede videolezioni e io non le faccio, siamo pagati poco e stiamo passando un momento complicato. Mi pare una richiesta eccessiva per un docente!” commenta una professoressa di fisica che ha sempre ottenuto magri risultati con le sua classi, in presenza.

 “Ma chi è questo str… di prof.? Quello giovane di Storia?”. Sono invece le parole di una madre, captate da un microfono lasciato inavvertitamente aperto, al termine di una pessima videointerrogazione. La scuola da casa ha permesso di entrare nelle case di tutti, fra vecchie maglie di gruppi musicali, poster improbabili, pigiami variopinti, peluche di tutte le fogge e salotti affollati da altri abitanti umani e animali (con scene spesso molto divertenti). “Prof scusi se non resto ancora che ma se non do da mangiare al gatto e gli pulisco la lettiera è finita!”. Un modo nuovo di conoscersi e scoprirsi, ma anche (per molti) una difficoltà non da poco. Più di un quarto degli italiani, infatti, vive in sovraffollamento abitativo, ha ricordato l’Istat, una quota che sale al 41,9% per i minori. Le case degli italiani, secondo il think tank Rur, misurano mediamente 81 metri quadrati, contro i 95 del Giappone, i 97 della Spagna o i 109 della Germania e i 112 della Francia. E durante la quarantena si era obbligati a una convivenza per 24 ore al giorno, con la necessità di gestire emotivamente una situazione complessa e ricavare per tutti spazi fisici di studio o lavoro. “Professore sono la zia di Roberta, La saluto con affetto; Lei è davvero il preferito di tutti! Le volevo solo dire che loro tre hanno studiato tantissimo per giorni, anche tutta la notte: un 9 secondo me se lo meritano, che dice?”.

 La Dad ci ha insegnato quanto la scuola sia un ambiente fisico, relazionale, fatto anche di corporeità. E ci è mancata molto per questi suoi aspetti. “Prof una gita con lei sarebbe stata troppo bella, ci aveva anche promesso uno spritz tutti insieme…”. I corridoi affollati, le ricreazioni in cortile a tendere agguati alla bella/al bello di turno, i capannelli di professori, le risate in classe, l’interazione con i docenti migliori. E poi con la Dad i più sfavoriti sono stati coloro che già in classe arrancavano, mentre chi brillava ne ha tratto un grande giovamento potendo confrontarsi con i docenti in modi nuovi e anche potendo concentrarsi maggiormente: le disuguaglianze si sono approfondite. “Ma Matilda che fine ha fatto?” “Eh, prof, dorme; tanto quest’anno c’è la promozione per tutti!”. La Didattica a distanza non era nata e non può diventare la via permanente all’istruzione: i modelli migliori prevedono un intreccio di lavoro in presenza e a distanza con le nuove e con le vecchie tecnologie. Cooperative learning, dibattiti, classi capovolte, compiti di realtà: le nuove frontiere della didattica – a cui i docenti dovranno essere formati – si giovano spesso della commistione con le nuove tecnologie. “Vi propongo ragazzi di creare una pagina Instagram e riempirla di meme a tema storico, sul programma che via via faremo, che ne dite? Da ognuno me ne aspetto un certo numero, vinca il migliore!”.

 E il prossimo anno? “Prof. ma Lei resta con noi? Se non ci sarà Lei, non entreremo neanche noi in classe!” “Purtroppo ragazzi non dipende da me. Dal Ministero hanno stroncato sul nascere l’ipotesi di prolungare i contratti di noi precari per un anno, cosa che avrebbe permesso di non disperdere il patrimonio di competenze acquisite e mantenere la continuità didattica in un momento di difficoltà… C’è tutta una letteratura scientifica sulla learning loss, la perdita d’apprendimento che avete subito e subirete ma evidentemente… meglio aggravarla!”. Perché la scuola italiana è soprattutto questo, grandi slanci che si infrangono contro il muro del conformismo, della burocrazia e della tradizione. 

Giorgio Tabani – docente Liceo Trebbiani