Brescia tra ripartenza e crisi climatica

 Le frontiere del cambiamento della città lombarda raccontate dagli attivisti locali per l’ambiente.

Una mobilità dolce e a misura di bicicletta, il ritorno dei servizi di quartiere, l’efficientamento energetico delle abitazioni private, l’attenzione al comfort degli spazi urbani: sono le grandi sfide che nei prossimi mesi Brescia dovrà affrontare, secondo gli attivisti per l’ambiente, per una ripartenza in grado di tutelare il benessere e la salute dei propri cittadini, oltre che della terra e del clima.

Il nodo principale è quello della mobilità, che investe due cruciali aspetti della vita cittadina: quello della salute pubblica in primo luogo, poiché il traffico veicolare rappresenta la principale fonte di emissioni inquinanti come gli ossidi di azoto e i PM 2,5 alla cui esposizione è associato l’insorgere di disturbi respiratori ed effetti sul sistema cardiovascolare. Con conseguenze pesantissime: l’ATS Brescia ha stimato che ogni anno circa 1000 persone muoiono per gli effetti ricollegabili all’inquinamento e che quello causato dalle polveri provochi, in particolare, una media di 400 decessi, 200 infarti, 165 ictus e 3900 ricoveri per malattie dell’apparato respiratorio. Il secondo aspetto è quello logistico: le misure di distanziamento per contrastare la Covid-19 costringono i trasporti pubblici a viaggiare con una capienza dimezzata, disincentivando il trasporto pubblico – sul quale, invece, l’amministrazione comunale aveva fondato le sue politiche di mobilità sostenibile fino a prima della pandemia. Ma Brescia è già una città estremamente trafficata: nel suo intervento alla “Conferenza sulla mobilità sostenibile nella Fase 2” organizzata da Legambiente Brescia lo scorso 2 maggio, Carmine Trecroci, docente di Economia e Management all’Università degli Studi di Brescia, ha ricordato che la percentuale degli spostamenti urbani in città si attesta al 70% degli spostamenti totali, “almeno 10 punti sopra la media delle altre città del nord e contro un utilizzo dei mezzi pubblici del 12%, mentre l’uso della bicicletta è del 4%”. Ridotta anche la possibilità di fruire dei mezzi pubblici, l’avvicinarsi di settembre pone con forza il problema di come riorganizzare i flussi di traffico che convergeranno verso la città, nei cui istituti studiano ben 14mila studenti sui 70mila totali della provincia.

Proprio per questo motivo, sostiene il Presidente di Legambiente Brescia Lucio Lorenzi, è indispensabile cominciare a parlare seriamente di ciclabilità. “Le bici sono tornate al centro del dibattito pubblico, e questa è una potenzialità: altri paesi europei, come la Danimarca, hanno da anni una politica del trasporto fondato sulla bicicletta. Mentre la parte di traffico che proviene da fuori città sarà meno gestibile, possiamo invece incidere sulla mobilità iniziando a fare con la bicicletta tutti gli spostamenti urbani, per quanto possibile. Non possiamo lasciare che tutti gli spostamenti si spostino sul trasporto privato, perché si rischia il collasso del traffico”. Il Comune, dal canto suo, ha intrapreso la strada caldeggiata dagli attivisti, varando un piano per la riqualificazione di parte delle piste ciclabili cittadine e la realizzazione di 75 km di “ciclagili”: corsie disegnate direttamente sull’asfalto e con segnaletica ad hoc, per dare maggiore spazio – e riconoscimento – alla mobilità a due ruote. Un primo passo avanti, che potrebbe dare ottimi frutti se rafforzato da altre iniziative, come l’implementazione del servizio di bike sharing e dell’intermodalità dei trasporti nelle periferie; il ritorno dei servizi essenziali nei quartieri; non ultimo, un utilizzo strutturato e non più emergenziale dello smart working: “usato con criterio, permetterebbe di mettere a fuoco quali spostamenti sono necessari e quali no”.

Riorganizzare gli spostamenti non è l’unica frontiera di cambiamento delle città e della città di Brescia. Giovanni Mori, portavoce di Fridays for future Brescia, solleva un’altra questione fondamentale, ma spesso dimenticata, quella degli edifici e della produzione dell’energia: “Le città consumano l’80% dell’energia mondiale nonostante occupino il 2% del suolo. L’impianto di teleriscaldamento di Brescia è già un sistema migliore che avere migliaia di piccoli impianti. Ma il riscaldamento è, insieme al trasporto, una delle maggiori cause d’inquinamento, e per ridurlo occorre efficientare abitazioni ed edifici. Le città sono concentrati di impianti di riscaldamento, talvolta anche vecchi – caminetti, vecchie caldaie – che hanno un impatto sia su inquinamento, sia sul clima, perché producono co2, che producono a loro volta gas serra, responsabili della crisi climatica. Gli incentivi per l’efficientamento esistono, ma sarebbe utile che il Comune realizzasse un piano di facilitazione, perché isolare le abitazioni significherebbe tagliare tantissimi inquinanti”.

Ma parlare di cambio di paradigma significa anche parlare di spazi urbani, che devono essere ridisegnati per poter essere vivibili. Spiega Mori: “E’ l’effetto ‘isola di calore’: significa che in città ci sono 2, 4 gradi in più rispetto a fuori città perché ci sono tantissimi spazi asfaltati e cementificati che assorbono calore e poi lo rilasciano. Banalmente, già entrando in un parco troveremo 3 gradi in meno perché non ci sono tutte queste superfici. Questo fenomeno si può combattere piantando moltissimo verde; sfruttando i colori chiari – ad esempio dipingendo le case di bianco – o attraverso opere di riqualificazione: a Parigi, ad esempio, una piazza è stata riqualificata riportando la terra al posto del cemento, e colorando di bianco la parte più solida della pavimentazione”. Una questione, questa, ancora poco avvertita, ma potenzialmente molto pericolosa: si pensi, ad esempio, all’ondata di calore che travolse l’Europa nell’estate 2003, producendo, stando ai dati raccolti dall’Istituto superiore della Sanità, oltre 7mila morti solo in Italia.

Il futuro della città, insomma, si giocherà su mitigazione ed adattamento, entrambe facce della medaglia della situazione ambientale attuale: mitigazione dei danni che sono già in essere e che subiamo, cercando di non produrne altri; e adattamento alle nuove condizioni e sfide climatiche e ambientali che si pongono e si porranno nei prossimi anni, ridisegnando i nostri luoghi perché continuino ad essere vivibili.

Jennifer Riboli