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Tra il dire e il fare da qualche parte bisogna pur iniziare

La scuola, tra l’emergenza da Covid-19 e una ventata d’aria fresca.

In questo periodo post crisi sanitaria il termine ripartenza è sulla bocca di tutti. Ripartenza con la quale lasciarsi alle spalle mesi di sofferenza e incertezza e volgere lo sguardo verso un futuro migliore, per il nostro paese e per il mondo. Ma da dove si deve cominciare, dove dobbiamo mettere il primo di una lunga serie di mattoncini? C’è bisogno di ripartire dalla scuola, che per antonomasia è il luogo dove i giovani costruiscono il loro futuro. Questo è solo uno dei temi, troppo spesso dati per scontati, che l’epidemia ha riportato in primo piano. La DAD (didattica a distanza), nonostante tutte le limitazioni, si è rivelata indispensabile nel periodo della quarantena per mantenere un contatto tra insegnanti e alunni. Un campione di 99 persone tra studenti e docenti di scuola secondaria di diverse età e diversi istituti ha risposto ad un sondaggio sull’argomento. “Ti metto comunque un’insufficienza, ma che sia di incoraggiamento”. È questa la frase, talvolta utilizzata dai professori dopo interrogazioni non particolarmente brillanti, che può rappresentare al meglio il 5,4 su 10 che gli intervistati hanno dato alla DAD. Dopo una comparazione con la DO (Didattica Ordinaria), il bilancio non è stato molto positivo, ma neanche eccessivamente negativo. Se quasi il 50% di coloro che hanno risposto alle domande del sondaggio afferma che il dialogo formativo sia stato seriamente compromesso nel passaggio da DO a DAD, è comunque certo che alcune delle alternative adottate, come l’invio e la correzione di esercizi semplicemente tramite mail, rendono ancor meno efficace il processo educativo. Affinché esso sia fruttuoso è importante che un opportuno scambio di informazioni sia sostenuto da una comunicazione visiva e auditiva: imparare e insegnare sono attività più semplici se si può vedere e sentire il proprio docente o i propri studenti.

Da qui uno degli elementi principali della didattica da remoto, la videolezione. L’assenza di un’organizzazione nazionale ha portato le singole scuole a decidere come gestire questo aspetto della DAD, con risultati molto diversi da istituto a istituto. Circa metà del campione intervistato ha riscontrato poche difficoltà nel seguire le lezioni online, circa un terzo neanche una complicazione. Questo risultato abbastanza positivo deriva anche da una buona gestione per quanto riguarda il comodato d’uso di strumenti utili a partecipare alle lezioni. L’80% di studenti e docenti possedeva già tutti gli strumenti necessari alla DAD e, tra coloro che non hanno potuto avere a disposizione dispositivi propri, il 14% è stato aiutato con prestiti di computer, tablet o contratti di rete da parte del proprio istituto. Il tipo di questa strumentazione ha notevolmente influenzato i metodi di valutazione nel corso dei mesi di DAD. Se da un lato si sono mantenute strategie di valutazioni classiche, come interrogazioni e compiti scritti svolti in videolezione, si è anche posta maggior attenzione alla partecipazione attiva durante le lezioni, e alle competenze digitali di ragazzi e ragazze, tramite consegna di elaborati multimediali di ogni sorta, principalmente video, relazioni e presentazioni power point. Riguardo a questo aspetto, ossia la multimedialità nella didattica ordinaria, la DAD si è rivelata molto importante se non fondamentale: essa ha permesso a molti docenti (ma anche a molti studenti) di scoprire o riscoprire il fascino e l’utilità dei supporti digitali non solo come accessori all’insegnamento e al normale svolgimento delle lezioni, ma come strumenti paritari ad un libro cartaceo o una lavagna. Dopo lunghe discussioni e considerazioni sul tema DAD c’è un’unica certezza: a settembre la si abbandonerà e si tornerà tra i banchi.

Le modalità sono tutt’ora da definire e le linee guida del Ministero soggette a possibili cambiamenti. Ma analizziamo cos’ha da dire il campione intervistato riguardo al rientro a scuola per settembre 2020. Il possibile rientro con obbligo di indossare le mascherine non sembra generare eccessivi disagi, metà degli intervistati non avrebbe problemi, l’altra metà preferirebbe evitare. Nessun problema è stato sollevato riguardo ad una possibile contrazione della durata delle lezioni a 40 minuti. Si sono invece espressi negativamente sull’utilizzo del plexiglas tra i banchi, sull’estensione dell’orario scolastico al sabato, sul prolungamento delle lezioni in orario pomeridiano, così come sull’anticipo dell’ingresso a scuola alle ore 7 del mattino. Sostanzialmente vi è particolare interesse a ritornare il prima possibile alla routine scolastica che vigeva prima del lockdown. Un’unica cosa è certa, la parola chiave è modernizzazione. Arriva a gran voce la richiesta da parte degli studenti e dei docenti di installare LIM e proiettori (66,7%), di digitalizzare i libri di testo (48,5%) e di introdurre corsi di aggiornamento per l’utilizzo di piattaforme informatiche per gli insegnanti (43,4%). Suscita qualche perplessità la possibilità di svolgere prove scritte attraverso piattaforme digitali (25,3%) e l’inserimento di ore di coding ovvero programmazione informatica (18,2%). Ciò che non dovrebbe mancare nella scuola del futuro è l’utilizzo di laboratori e a chiederne l’introduzione sono addirittura 97 persone su 99, così come particolarmente sentita è la mancanza di ore dedicate all’educazione sessuale (71%). L’edilizia scolastica è ferma da decenni e alunni e professori talvolta trascorrono sei o più ore al giorno in edifici fatiscenti. Secondo il 72% degli intervistati occorre iniziare a pensare a ristrutturare i locali scolastici, con un programma a lungo termine. È particolarmente gradita anche la proposta di introdurre una programmazione modulare che consenta una “ricontaminazione” del sapere, attraverso tecniche innovative come il Cooperative Learning. Nel panorama europeo l’Italia si aggiudica l’ultimo posto in classifica nell’utilizzo delle nuove tecnologie, un gap che se non colmato in fretta a lungo termine rischia di danneggiare permanentemente un’economia già molto fragile. “Parliamo seriamente di digitalizzazione dal 2015, ma in 5 anni tante scuole non si sono mosse, sono rimaste nella loro comfort zone. Questa emergenza è come quando ti buttano in mare da bambino e sei costretto ad imparare a nuotare: per tanti sarà un impulso importante alla modernizzazione”, queste le parole del prof. Angelo Bardini, che ha collaborato al Piano Nazionale Scuola Digitale del 2015 ed è attualmente Ambassador dell’Indire. L’augurio migliore per il futuro della scuola italiana è che sia in grado di ripartire sulla cresta dell’onda. 

Guia Di Russo  e  Francesco Marchetti