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Immagina un mondo diverso, è facile se ci provi… – Racconto

Ormai era passato qualche anno da quando avevo smesso di scrivere canzoni, la mia fantasia, l’ispirazione, si erano come vanificate nel nulla. Io e il mio gruppo ci eravamo lasciati anche per questo motivo, avevamo esaurito tutte le nostre carte e forse era arrivata l’ora di prendere ognuno la propria strada per dedicarci alla vita privata. Avevamo tutti mogli, alcuni di noi anche figli e ormai lo spazio per la musica era terminato.
Erano anni duri quelli in cui stavamo vivendo: la guerra in Vietnam andava avanti e venivano fatte proteste in tutto il mondo. Da quando avevo conosciuto Yoko, verso la fine di maggio del ‘68, portavamo avanti una campagna per la pace, ci sembrava un modo per dire no alla guerra. Per me lei non era solo una moglie, per me lei era una figura materna, mi sentivo protetto quando ero con lei ed è sempre stata la mia musa ispiratrice. È stata proprio lei con le sue poesie a darmi lo spunto per scrivere la mia canzone forse più celebre, che qualcuno considera tra le più importanti che siano mai state scritte.
Correva il 1971, mi trovavo seduto davanti al mio pianoforte Steinway, come sempre, in cerca di idee. In realtà gli spunti non mi mancavano, il periodo storico in cui stavo vivendo e tutti quegli eventi terrificanti che avvenivano ogni giorno mi turbavano e così decisi che il testo della mia nuova canzone doveva partire da lì. Il mondo aveva bisogno di pace e se Give peace a chance non era riuscita a trasmettere il messaggio, dovevo trovare un’altra soluzione. Era da qualche giorno che cercavo di finire di leggere per la terza volta la raccolta di poesie Grapefruit di Yoko. Continuavo a pensare che quella raccolta fosse in realtà un insieme di insegnamenti di vita e cose del genere più che poesie, ma non importava… C’era una parola che ricorreva più volte tra un verso e l’altro… Imagine. Immagina… beh, in quel periodo immaginavo fin troppe cose, forse tutte troppo irrealizzabili.. C’era una poesia in particolare, mi sembrava si intitolasse Cloud Piece, se non ricordo male: ecco, furono proprio i versi di quel testo a darmi l’impulso per iniziare a comporre Imagine. Ricordo ancora quei versi dal significato arduo da apprendere alla prima lettura: diceva «Immagina le nuvole gocciolanti, scava un buco nel tuo giardino e inizia a raccoglierle». Mi ero chiesto più volte che significato avrei potuto attribuire a quelle due brevi frasi. Forse significava che avrei dovuto raccogliere i mali del mondo, rimettere insieme i pezzi, ricreare il concetto di bene. Oppure c’era solo bisogno di raccogliere il buon senso che le persone col tempo avevano perso… sì, forse era questo. Iniziai a pensarci, a ragionare e a immaginare il mondo che avrei voluto e i valori alla base della nostra società, un’eccezionale utopia, ancora mai realizzata. Volevo lasciare qualcosa nella mente della gente, esprimere un messaggio fondamentale che capissero tutti senza diverse e discordanti interpretazioni. Presi la mia fedele penna, compagna di tante canzoni, e iniziai a scrivere, nella mia camera da letto a Tittenhurst Park, accanto al mio pianoforte bianco, in quella mattina così luminosa da accecare.
Il messaggio che volevo esprimere, come ho già accennato, era un concetto molto chiaro: desideravo che fossimo tutti un paese solo, un mondo, un unico popolo. Anche se molti non l’hanno capito, ci ho creduto davvero in questo concetto.
Chiusi gli occhi e cominciai ad immaginare.. Era sempre stato quello il mio modo per scrivere i testi delle canzoni, chiudere gli occhi e sognare una realtà diversa che avrei dovuto saper mettere per iscritto e sintetizzare in almeno Quattro, forse cinque strofe. Vedevo una giornata invernale, un bosco, io e Yoko che ci facevamo strada nella nebbia, tenendoci per mano, come avevamo fatto per tutta una vita. Eccola là, in lontananza, la nostra casa completamente bianca di Tittenhurst Park. Le metto un braccio intorno alle spalle ed entriamo a casa, dove possiamo finalmente stare soli.
Entriamo in una stanza, anche questa, come tutta la casa del resto, bianca. Cominciano a venirmi delle idee, delle frasi da scrivere.
Vi immaginate un mondo senza paradiso sopra di noi e senza nessun inferno? Per molti credenti penso sarebbe stato qualcosa di assolutamente inconcepibile e so che un’infinità di persone mi avranno aspramente criticato per questa frase. Senza il paradiso e l’inferno di una religione precisa non ci sarebbero divisioni con chi crede in altri paradisi e in altri inferni. Immaginavo solo la vastità del cielo sopra le nostre teste, le gente che non pensa a dove finirà dopo la morte ma che si preoccupa solo di vivere ogni giorno.

Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today…

Adesso solo buio nella mia mente, vuoto totale e nessuna idea brillante ad illuminare l’oscurità. E poi spiragli di luce che penetrano dalle finestre, attraversano il vetro e mi rischiarano le idee (Yoko sta aprendo le finestre della mia stanza una ad una). Penso a quanto desidererei vivere senza divisioni di alcun genere: avevo sempre visto paesi schierarsi per occuparne o invaderne altri, popolazioni compiere guerre giustificandosi con motivi religiosi. Non avevo mai creduto in questi presupposti, anzi, in realtà non avevo mai creduto nella guerra in generale… Per me doveva regnare solo la pace tra gli uomini. La pace tra tutti, e niente confini, così a nessuno sarebbe venuto in mente di oltrepassarli.

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…

Che sia chiaro, mentre scrivevo questo testo immaginavo dentro di me che molti lo avrebbero interpretato come un inno pacifista, ma non era questo il mio vero intento. Certo, il terribile contesto in cui stavo vivendo, la guerra del Vietnam, mi faceva sicuramente aspirare al perseguimento della pace. Ciò che volevo comunicare era però anche qualcos’altro: volevo urlare al mondo basta all’estremismo religioso, basta al nazionalismo, basta al materialismo e a tutto ciò che esisteva di convenzionale. Era da qui che gli uomini dovevano ricominciare. Tutti insieme. Avevo già previsto che molti mi avrebbero giudicato un sognatore perditempo, uno sciocco, ma io ci credevo seriamente in quello che stavo scrivendo, e non mi importava di ciò che le generazioni future avrebbero pensato. Qualcuno magari avrebbe capito, e saremmo diventati sempre di più…

You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one

Continuavo a pensare alla luce solare entrare nella stanza bianca, a Yoko che continuava cauta ad aprire le finestre una ad una. Pensavo a quanto amassi quella donna che avevo sempre considerato una mamma oltre ad un’amante. Era lei la donna che mi aveva accompagnato nelle lotte per i miei ideali, i nostri ideali. Adesso, rifacendomi agli ideali comunisti – anche se un vero stato comunista non era mai esistito sulla faccia della Terra, e in realtà non avevo mai apostrofato me stesso come comunista in quanto preferivo affermare di non appartenere a nessun movimento politico – immaginai un mondo senza possedimenti, senza persone che vogliono prevalere sulle altre. Nel mio mondo ideale sentimenti come la brama non potevano assolutamente esistere, gli uomini dovevano vivere secondo i principi della fratellanza e condividere tutto, vivere una vita in comune. Non l’avevo veramente mai vista una società basata su questi principi, ma poteva esistere se riuscivo a immaginarla, giusto?

Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…

La melodia dolce della mia canzone, perché è questo ciò che in fondo ha suscitato tanto consenso e tanto clamore, nella mia testa terminava con il mio piano Steinway che lasciava finire l’ultima nota, e poi c’era Yoko, che leggeva i miei versi seduta accanto a me. Il mio quadro infine terminava con un bacio e le parole «You may say I’m a dreamer» che ancora risuonavano nella mia testa.
Chissà se quelle parole avrebbero smosso qualche vento favorevole… chissà se sarebbero mai state capite veramente da qualcuno… Io purtroppo ho avuto meno di dieci anni per capire se davvero le frasi di quella canzone fossero entrate nella testa di qualcuno, se avessero fatto nascere un sentimento forte in qualcuno… Non l’ho mai potuto sapere direttamente e quindi tutto ciò che ho potuto fare è stato immaginare…

Emma Boschi – Classe 4G / Liceo Classico Galileo di Firenze