Il costo della Biodiversità

Dopo il fallimento dell’accordo di Parigi del 2015, si riparte dal 2020. Sarà infatti la cifra tonda a segnare un punto di svolta, sostiene sir Robert Watson, uno dei maggiori esperti internazionali delle tematiche ambientali ed ex presidente della Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosistem Service) che si è presentato all’Aurelio Peccei Lecture presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati a Roma. L’appuntamento annuale, organizzato da Wwf Italia, Club di Roma, Fondazione Aurelio Peccei, con il sostegno di Novamont si è rivelata l’occasione perfetta per discutere della cosiddetta “Economia della Ciambella”.
Questa nuova teoria economica, proposta da Kate Raworth, docente dell’Environmental Change Institute e ospite d’onore dell’incontro stesso, attinge alle ultime acquisizioni dell’economia comportamentale, ecologista e femminista e a quelle delle scienze del sistema Terra. D’altronde il modello economico oggi prevalente, pur avendo migliorato le condizioni di vita di milioni di persone, ha portato inquinamento, cambiamenti climatici e distruzione di biodiversità.
In particolare quest’ultimo punto si è trovato al centro delle discussioni avute luogo al’incontro del 12 novembre scorso, in cui Watson ha tenuto una lezione magistrale dal titolo: “Natura, Clima, Economia: Il patto ambientale per il futuro”.
L’intervento umano non solo ha trasformato il 75% delle terre emerse, ha provocato impatti comulativi per il 66% delle aree oceaniche e ha distrutto l’85% delle zone umide, ma sta anche mettendo a rischio un milione di specie viventi su otto. Il 15% della biodiversità si sta per estinguere, insieme a 145.000 miliardi di dollari l’anno. È infatti questa il costo stimato dall’esperto per la terribile perdita che affronteremo se non cambieremo il nostro rapporto con l’ambiente, una cifra superiore di una volta e mezzo al Prodotto interno lordo (Pil) globale. L’amministrazione ordinaria non può sostenere un tale cambiamento delle dinamiche nell’ecosistema Terra e per questo è necessaria una rivoluzione nell’utilizzo politico delle energie e delle risorse che tenga conto di un Capitale Naturale.
Gia dal 2015, con l’articolo 67 della Legge 28 dicembre del medesimo anno, in Italia è stato istituito presso il ministero dell’ambiente il Comitato per il Capitale Naturale, ovvero per l’insieme di tutte quelle risorse naturali essenziali per lo sviluppo del paese in termini economici e sociali. Tuttavia la sua integrazione nei processi decisionali politici è ancora marginale e necessita di essere raffinata affinché occupi un ruolo centrale nei sistemi di contabilità nazionale.
L’uomo, in nome di un maggior guadagno, per secoli ha sfruttato l’ambiente senza accorgersi dell’enorme bottino che andava sperperando. Dalla fine del XX secolo, anche grazie al sorgere delle nuove filosofie eco femministe (François D’Eaubonne, Greta Gaard), si è incominciato a sottolineare la necessità di un cambiamento del paradigma socio-economico e culturale; mai come oggi questa risulta urgente ai nostri occhi.
Ciò che occorre è dunque una politica globale che non scenda a compromessi. Con questo obbiettivo, nel corso della Peccei Lecture 2019 il Wwf Italia ha lanciato il decalogo italiano per un New Deal For People and Nature: una Road map in dieci punti che mira ad una grande mobilitazione globale in cui vengono coinvolti capi di stato e di governo, autorità locali, il mondo delle imprese e la società civile. Le richieste hanno lo scopo di rendere operativi e concreti gli sforzi necessari alla nuova strategia decennale (2020-2030) destinata a fermare la perdità di biodiversità nel mondo che sarà elaborata formalmente in sede ONU e si concentrano fondamentalmente su tre punti alquanto ambiziosi, ma da raggiungere obbligatoriamente entro la scadenza dell’Agenda 2030:
arrestare la perdita degli habitat naturali; dimezzare l’impronta ecologica dei processi di produzione e consumo; arrestare l’estinzione delle specie viventi.
Appare così evidente come il tentativo di orientare l’attenzione dei governi mondiali al fine di conseguire risultati significativi per la stabilizzazione del clima e la decarbonizzazione delle nostre economie è stato pilotato da giustificazioni economiche che mettono al centro un’ingente perdita di capitale monetario. È pertanto il guadagno l’unica ragione capace di muovere la politica e l’economia moderna verso la salvaguardia del pianeta Terra?
Qualsiasi siano le motivazioni è stato ormai chiarito che neanche al portafoglio conviene risparmiare sul nostro ambiente.
Alessia Priori / Liceo Classico Galileo di Firenze