La parola di un bambino

Ero sicura che non ce l’avrebbe mai fatta. Mia zia era sempre stata così, tant’è che ormai mi ero rassegnata a farle cambiare idea e ogni volta che a pranzo il telegiornale mostrava le foto di barconi straripanti di esseri umani disperati, io facevo finta di non sentirla gioire per la morte di un bambino solo per il colore della sua pelle. Perciò quando ci trovammo a convivere con i Peiris ero certa che ci sarebbe stata una strage. Dopo il terremoto la scuola elementare di mio fratello aveva messo a disposizione tutta l’ala sud per i rifugiati, così ci riunimmo nell’androne dell’istituto, io, mia madre, mia zia e Tommy. Una fila interminabile di persone stanche, ricoperte di intonaco e lacrime; non è bastata ad impietosire mia zia. Nel momento in cui entrando nell’aula della 5A ha scorto i volti mulatti dei nostri coinquilini, si è diretta al punto informazioni dove ha sbraitato che lei non avrebbe passato un minuto, tanto meno una notte accanto ad animali del genere, che era vergognoso costringerla ad una tale tortura dopo aver già visto la propria vita frantumarsi in un attimo per una scossa del cazzo. Niente da fare. Arresa è tornata al posto che le era stato assegnato e dando le spalle a quella povera famiglia, si era distesa su un materassino messo a disposizione da gruppi volontari. Il padre la guardava con una sfumatura di tristezza sul volto, mentre la giovane madre stringeva a sé i due bambini e io non potevo che vergognarmi. Il pensiero dell’enorme offesa che avevamo recato loro non mi fece chiudere occhio, fortunatamente; infatti restando vigile potei assistere ad un miracolo. Nel silenzio della notte percepì i leggeri passi di un bambino: era uno dei figli dei Peiris che non riusciva a dormire. Spaventato, si avvicinò a mia zia, affacciata alla finestra a fumare. Le disse che aveva paura, che i suoi genitori dormivano e che lui si sentiva solo. Alle timide parole seguì un lungo silenzio, ma dopo aver finito la sigaretta, mia zia si accucciò all’altezza del piccolo e iniziò a parlargli. Non riuscì a sentire cosa dicesse, ma erano suoni dolci che non sembravano appartenerle. Mi addormentai così, sbirciandoli dall’ombra, mentre illuminati dalla luce che filtrava dalla finestra imparavano a conoscersi. La mattina seguente mi svegliai con la risata di mia zia, che stava chiacchierando amichevolmente con i nostri coinquilini; guardai mia madre stupita e lei mi rispose con uno sguardo altrettanto sorpreso. D’improvviso mi ricordai di tutte le volte che ci avevo litigato, tentando di farle capire che eravamo tutti umani in cerca di un posto dove essere felici; rammentai tutto il fiato sprecato e risi.
Le era bastata la parola di un bambino.
Alessia Priori / Liceo Classico Galileo di Firenze