Salvare gli oceani? È ancora possibile

Lo studio di un team di scienziati su Nature racconta le politiche da adottare per i mari. “Investire tra i 10 e i 20 miliardi all’anno. Avremo un ritorno economico di dieci volte tanto”. Facciamo finta che questo sia solo un assaggio. Acque dei porti e dei canali che tornano cristalline, cetacei che senza più imbarcazioni intorno si spingono a caccia di cibo sino a ridosso delle coste, pesci che tornano a ripopolare i nostri fondali, tartarughe che arrivano in massa a deporre sulle spiagge.
In queste settimane di lockdown a causa della pandemia ci vengono proposte centinaia di immagini in cui la natura sembra riprendersi i suoi spazi negati dall’uomo. In realtà, per far sì che la natura, da noi danneggiata, possa riprendersi completamente, servirebbe molto di più. Questo miglioramento è però un esempio di come gli habitat e gli ecosistemi, con un sforzo globale, potrebbero tornare all’antico splendore. Con queste immagini, lo studio “Rebuilding marine life” pubblicato su Nature da una serie di scienziati internazionali e che porta la prima firma di Carlos Duarte, professore di scienze marine della King Abdullah University of Science and Technology dell’Arabia Saudita, sembra essere una prova di una concreta speranza. Lo studio di Duarte afferma che che abbiamo ancora tempo per salvare gli oceani: per farlo ci servono però almeno 30 anni di sforzi congiunti e miliardi di dollari di investimenti.
Gli oceani, più di altri ecosistemi, stanno soffrendo a causa della crisi climatica, dell’inquinamento e della pesca intensiva, con innalzamento delle temperature e acidificazione delle acque che stanno mettendo in ginocchio la biodiversità o distruggendo le barriere coralline colpite dallo sbiancamento. Negli ultimi anni, gli oceani hanno infatti subito gli impatti negativi dell’uomo, molte specie sono state portate verso l’estinzione a causa della pesca estinzione oppure a causa di disastri ambientali petroliferi e sfruttamento intensivo delle risorse.
Nonostante questo i mari hanno estrema resistenza e combattono per sopravvivere. Si pensi alle balenottere del sud del mondo, che dopo anni di caccia ritornano a crescere in numero. Secondo la Iucn, negli ultimi vent’anni ci sono segnali importanti: la percentuale delle specie marine valutate come a rischio estinzione a livello globale è scesa dal 18% del 2000 all’11,4% nel 2019.
Per riuscire però a salvare migliaia di specie e garantire un futuro agli oceani, è necessario un “investimento dai 10 ai 20 miliardi di dollari all’anno, con un possibile ritorno economico che sarebbe 10 volte tanto”, affermano i ricercatori. Bisogna però agire subito, con politiche di conservazione mirate per riuscire ad avere un successo concreto, in modo tale che “la vita marina impoverita negli oceani del mondo potrebbe tornare a livelli sani entro il 2050”. “Il nostro studio documenta il recupero di popolazioni marine, habitat ed ecosistemi a seguito di interventi di conservazione fatti in aree marine protette in passato. Fornisce raccomandazioni specifiche e basate sull’evidenza per trovare soluzioni comprovate a livello globale” ha affermato Duarte.
“Sappiamo cosa dovremmo fare per ricostruire la vita marina e abbiamo prove che questo obiettivo può essere raggiunto entro tre decenni”, spiega indicando la necessità di accelerare gli sforzi. Per gli esperti è necessario agire in modo mirato, concentrandosi in particolare sulla cura, protezione e conservazione di alghe marine, mangrovie, paludi salmastre, barriere coralline, praterie di piante come la poseidonia, megafauna, studio dell’oceano profondo, pesca e altri settori, puntando alla ricostruzione e al restauro di habitat o a politiche di divieti.
Al centro della sfida devono essere poste la lotta agli effetti della crisi climatica e la battaglia all’inquinamento da plastica.
Senza accettare questa sfida, senza destinare cifre importanti alla ricostruzione degli oceani o alle aree marine protette, le future generazioni saranno destinate ad avere un mondo con un oceano sempre più “malato”. “Non riuscire a cogliere questa sfida significa condannare i nostri nipoti ad avere un oceano danneggiato e incapace di sostenere mezzi di sostentamento di alta qualità. E questa non è una opzione.” ha concluso Duarte.
Laura Cappelli / Liceo Classico Galileo di Firenze