I Miserabili

“Amici, rammentatevi che non vi sono né erbe cattive né uomini malvagi, ma soltanto pessimi coltivatori” (I Miserabili I, V, III)
I Miserabili sono un romanzo storico e soprattutto realista, in cui l’autore, Victor Hugo, ci vuol dare una vera immagine della realtà, ci vuol dipingere la vera Parigi dei primi decenni dell’800 e vuole scavare a fondo negli angoli più reconditi dell’uomo e della società. È proprio lo scavare a fondo il tratto caratterizzante del libro, l’autore infatti decide di andare giù, nelle profondità inesplorate della civiltà umana, nell’abisso delle miserie e dei mali. Non gli interessa parlar di re, imperatori, primi ministri e presidenti; di gloriosi generali e di ricchi borghesi dalla placida esistenza.
“Si conosce bene la montagna, se non si conosce la caverna?”
Hugo mostra la faccia oscura della medaglia, quella che nessuno osa guardare, dove regnano disonestà, dolore, rimpianto e soprattutto la miseria, quella vera, che in quanto sovrana dà anche il nome al romanzo. Perché, verrebbe da chiedersi, parlare di assassini, frodatori, ladri, ergastolani e forzati? Perché mettere a nudo questi esseri depravati? Perché Hugo vuole trovare le ragioni di tutto ciò, vuole indagare e scoprire cosa si cela dietro a questa facciata di tenebra, non limitarsi semplicemente a raccontare i fatti per come sono, sennò il libro sarebbe solamente una cronaca. E individuate le cause, trovare il colpevole, cercare una soluzione (nell’idea ottocentesca che il romanzo deve istruire il lettore): questo rende “I miserabili” un romanzo. E l’essere queste cose fatte magistralmente lo rende non solo un romanzo, ma uno dei migliori romanzi mai scritti.  
Nel romanzo, dunque, troviamo tantissimi personaggi che potremmo, senza dubbio alcuno, definire miserabili, tal volta miserrimi. Ne sono esempi Thenardier, sua figlia Eponine e suo figlio Gavroche, Fantine e il fabbriciere Mabeuf, fino al protagonista: Jean Valjean. Sono persone che brancolano nel buio, incerte, striscianti in fondo al pozzo della società senza che qualcuno lanci loro una corda per aiutarle a risalire. Eppure questi personaggi non sono i colpevoli, bensì le vittime. Il carnefice è la società, che guarda questi vermi agonizzanti indifferente, fredda, disgustata dai suoi stessi figli. Artigiano sprezzante della sua opera, che cerca in tutti i modi di nascondere, sotterrare, celare alla vista, la sua vergogna. Illuminata civiltà che preferisce che questi disgraziati nascano e trascorrano la vita nelle sotterranee gallerie del mondo, dimenticati in un cantuccio. Che invece di aiutare, preferisce voltare lo sguardo, nel migliore dei casi, oppure castigare e punire. Preferisce, però, punire un peccato che non esiste. Può mai essere un peccato il nascere in una situazione precaria e sfortunata, o il non potersi permettere una carrozza privata? E quand’anche lo fosse, è giusto morire con intorno mille occhi che ti guardano e mille bocche che ti deridono, o abbandonati in uno schifoso buco?  Come tutte le grandi opere della Letteratura, anche “I Miserabili” è sempre incredibilmente attuale e ci spinge a riflettere sugli eventi contemporanei e sulla nostra società, in particolare sugli ultimi, veri protagonisti del romanzo. 
Come i protagonisti sono gli ultimi, così il grande bersaglio di Hugo è la società, che rende i suoi figli miserabili. Perché non vi sono né erbe cattive né uomini malvagi, ma soltanto pessimi coltivatori.   
Davide Agnelli / Liceo Classico Galileo di Firenze