Coraggio – Racconto

Talvolta penso agli occhi di mia madre.

Mi ricordo di quando mi prende le mani e le stringe, poi se le porta alla bocca e ci lascia un bacio stampato sopra, come fosse un buon augurio o forse un ringraziamento, non lo so.

Mia madre ha un naso ingombrante, la pelle piena di nei, e le si creano delle piccole rughe ai margini degli occhi quando ride.

Mi ha dato l’educazione, l’ansia e la timidezza, e poi ovviamente mi ha dato la vita, e paradossalmente spesso me lo dimentico.

Mia madre ha i capelli spettinati, cortissimi, sempre ricchi di qualche colore che varia spesso, messo lì per nascondere quel grigio al sapore di vecchiaia.

Se la guardo pensare rabbrividisco.

Chissà cosa succede oltre i suoi capelli, oltre le sue tempie, chissà cosa non so di lei.

Chissà cosa ha visto e cosa ha sognato, se crede in ciò che dice, se le piace la vita o se tanto non c’è scelta, se ha davvero smesso di fumare, se vorrebbe ballare ma ormai non è cosa da fare. Se è andato via il dolore o giace ancora nel suo stomaco, e chissà quanto dolore non so che ha provato, chissà quanto dolore non ho idea si possa provare.

Ciò che so di lei lo scopro quando la ascolto cantare, quando percepisco il suo respiro in un abbraccio dato di fretta, o mi rivedo nei racconti del suo passato da ragazza.

Lo so quando si posa del trucco sul viso, forse per coprire il poco dormire, per abitudine, per amore, forse solo per vedersi più bella nel riflesso dello specchio del bagno. Quando bacia mio padre sulle labbra e gli parla sottovoce per non farmi sentire, quando alza il pugno sinistro e piange ascoltando una canzone che porta nostalgia, o sorride e basta.

 

Talvolta penso agli occhi di mia madre in quell’infreddolito pomeriggio di marzo. Mi ricordo frammenti di frase, poche parole rimaste annodate in gola.

“Sono malata”.

Credo di aver provato il vuoto.

“Tumore al seno”.

Ho avuto paura. Anche lei.

L’ho vista piangere e avere paura quel giorno.

E quel giorno ho visto anche mio padre piangere, mio fratello e mia sorella, tutti seduti attorno al tavolo della cucina, a mostrare ciò che di solito nascondiamo.

Ci siamo baciati le guance salate e convinti a vicenda che sarebbe andato tutto bene, poi ci siamo chiusi ciascuno nella propria stanza. Ricordo perfettamente chi ho chiamato, non so chi abbia chiamato lei.

 

E poi ricordo gli occhi stanchi ma vivi, postumi di un’operazione al seno faticosamente attesa. Sdraiata e sola in un lettino dell’ospedale di Bagno a Ripoli, l’ho vista più forte che mai. E avrei voluto piangere ma lei sorrideva, e allora ho solo pensato che stesse andando tutto bene.

 

Ripenso a una sera di fine maggio, con la primavera nell’aria e l’atmosfera di felice stanchezza. Stavamo cenando, mia madre aveva gli occhi tristi e le parole pronte.

“Chemioterapia”.

Un abbraccio forte è tutto ciò che sono riuscita a darle. Ho pensato che il cancro riesce sempre a scovare dentro di noi altro dolore.

 

Dopo è arrivata l’estate e con lei un susseguirsi di emozioni folli e di esperienze che mi hanno portata via da tutto ciò che stava succedendo. Per lei invece sono solo arrivati il caldo e la fatica, il sudore, il trucco negli occhi. Le parrucche, i cappellini, la costante sensazione di disagio e stanchezza, e chissà cos’altro. Chissà cosa ha dovuto sopportare in silenzio, quante cose non so.

E poi era già settembre, che si porta sempre dietro tanta malinconia, e con lei anche tutta la serenità di chi ha avuto il tempo per non pensare. E non so, a volte ho paura di non averle dato abbastanza amore, perché chissà cosa ci ha visto lei in quei sorrisi e nei giochi, nei bagni al mare che non ha potuto fare, nel desiderio che finisse tutto e anche in quello che nulla finisse mai.

 

Ricordo gli occhi felici ed esausti di una cena tra risate e sciocchezze, e l’amarezza del festeggiare la fine di qualcosa che non sarebbe mai dovuta iniziare. Era Firenze ed era novembre, con quei soliti amici di sempre, che conoscono mia madre da molto tempo prima che io fossi nei suoi pensieri. Era finita la chemio ed era una buona ragione per mangiare, tutti insieme nel calore del volersi bene, e anche nella consapevolezza di tutto ciò che invece non era ancora finito.

 

E poi il Natale. Gli occhi il giorno di Natale sanno sempre di serenità, anche per chi ha visto di tutto, per chi ha sperato e per chi sta ancora male, anche per mia madre che continuava a fare terapie ed era stanca, e le mancavano i capelli così come il lavoro.

E mi ricordo bene del dono che le diede mia zia, la sua sorella grande. Anche quello la fece piangere, chissà perché le lacrime tornano sempre. Lacrime diverse tra loro, di gioia, di dolore, di miscugli di emozioni che non portano alcun nome. Eppure credi che siano andate via, sparite, ma le lacrime tornano sempre, sì, a rammentarci che siamo vivi.

Le regalò un libro, “Il catalogo delle donne valorose”.

Ci aveva scritto una dedica, subito sulla primissima pagina.

“Alla più valorosa di tutte”.

Non avevo mai visto mettere tanto cuore in un grazie.

 

Se penso al coraggio mi viene in mente mia madre.

 

 

 

Sveva Del Priore

Classe 2D – Liceo Classico Galileo di Firenze