I robot non piangono – Racconto

Come stai?» chiese.

«è buffo. Sono nata in questo ospedale e morirò in questo ospedale» sorrise la donna ignorando la domanda dell’amica.

«Non è divertente, Ella» la rimproverò con quella sua voce metallica.

Ella fece finta di non averla sentita, anzi chiuse gli occhi e si distese sul lettino lasciandosi sfuggire un sospiro di stanchezza.

«Come ti senti?» chiese riprendendo la domanda di prima.

«Come se stessi correndo una maratona e fossi quasi giunta al traguardo» rispose Ella incrociando il suo sguardo con quello dell’amica i cui occhi si inumidirono.

«Non piangere su…» le disse Ella accarezzandole le mani.

«I robot non piangono» rispose distogliendo lo sguardo, non voleva che in quel momento fosse lei a dover essere consolata.

«Non sei un robot» la contraddisse l’anziana signora, «Sei molto più umana di molti di noi».

Il suo cuore di latta si scaldò o almeno le diede quest’impressione. Ella aveva ragione: anche se era fatta di metallo, chiodi, bulloni e cavi, dentro di lei si celavano emozioni e sensazioni, apprese e coltivate col passare degli anni.

Si girò nuovamente verso Ella, ma la trovò che dormiva con un sorriso beato sul viso, e non poté far a meno di lanciarle uno sguardo carico d’amore, sempre che quello fosse amore, pensò. Ella aveva provato a insegnarle cosa volesse dire amare e lei aveva salvato una delle tante spiegazioni sull’argomento in un file, così come aveva fatto tutte le volte in cui avevano provato a spiegarle qualcosa.

Decise di fare un salto nella sua memoria interna: giusto per capire se avesse davvero appreso il significato di quel termine, ma la sua attenzione fu catturata da un altro file.

Era passato tanto tempo da quel “ricordo”: Ella era caduta durante una corsa e tutto il braccio le si era sbucciato facendola piangere. Lei era accorsa ad aiutarla e dopo averle fasciato le ferite Ella le aveva spiegato cosa fosse il dolore.

Era stata l’emozione che aveva capito, e forse anche provato sulla sua stessa latta, di più.

Uscì dal file e si mise a cercare fra tutti gli altri quello sull’amore, ma per errore finì per aprirne uno diverso.

Aveva sentito Ella piangere nella sua stanza e allora aveva sgommato con quella sua unica ruota fino in cucina per prepararle qualcosa. Aveva raggiunto poi la sua amica con un vassoio carico di biscotti al cioccolato, la ragazza aveva smesso di piangere e di slancio l’aveva abbracciata sorridendo.

Quella volta aveva finalmente compreso cosa fosse il voler bene a qualcuno.

Chiuse il “ricordo” e dopo poco riuscì a trovare la tanto agognata spiegazione sull’amore.

Era il giorno del matrimonio di Ella e lei era stata scelta come prima damigella, stava aiutando la sposa a prepararsi quando Ella ruppe il silenzio.

«Sai, l’amore è una cosa strana. In effetti te l’ho sempre detto. Non riesco a spiegarlo nemmeno ora che mi sto per sposare. Ma ti posso assicurare che lo riconosci, lo riconosci perché non lo sai definire, è un insieme di troppe emozioni. Un giorno lo riconoscerai, ne sono sicura, anche se queste mie parole adesso ti sembrano inutili» disse per poi uscire dalla stanza e lasciarla sola a riflettere.

Cancellò tutte le finestre aperte nella sua memoria e tornò alla realtà. Solo in quel momento però si accorse che Ella se ne era andata, in silenzio, contrariamente alla donna che conosceva, la quale avrebbe fatto di tutto pur di morire parlando. Ma a ripensarci fu felice che quelle di prima fossero state le sue ultime parole.

Il suo cuore di latta si scaldò e questa volta non fu una sua impressione; le lanciò una sguardo e riconobbe, non sapeva come, l’amore. Scoppiò in lacrime e in quel momento fuori dal corridoio un passante la notò piangere. Gli sembrò strano, ma non ci prestò particolare attenzione, perché i robot non piangono.

 

Sara Turchi / Liceo Classico Galileo di Firenze, classe 3G