Il ricordo di Rocco Chinnici

 

Intervista di Antonella Rossi – Liceo Classico “Torquato Tasso” di Roma

Vincenzo Musacchio, giurista, professore di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA) e ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato anche allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Il 29 luglio 1983 Rocco Chinnici fu ucciso, unitamente a due uomini della scorta e al portiere dello stabile della sua abitazione, in un agguato mafioso. Che cosa pensa ogni volta che ricorre questa data?

Avevo quindici anni e ricordo davvero pochissimo. Mi rimase impressa la scena dell’attentato. Le macchine accartocciate e ancora fumanti e la modalità nuova per la mafia siciliana: l’uso del tritolo. Da quel giorno l’interesse verso le mafie si è riposto dentro di me e non se n’è più andato.

Dal 1979 al 1982, a Palermo ci fu una lunga scia di sangue si poteva prevedere anche la morte di Chinnici?

Assolutamente sì. Chinnici modernizzò la lotta alle mafie conseguendo importantissimi risultati giudiziari. Ancora oggi le sue intuizioni investigative e il modo di dirigere una Procura della Repubblica sono di esempio a livello nazionale e internazionale.  Come in tutti gli attentati compresi quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino le decisioni non furono prese solo dalla mafia in piena autonomia.  

Una delle intuizioni più importanti di Chinnici fu il “pool antimafia” e cioè lavoro di squadra nel contrasto delle mafie, funziona ancora questo strumento?

Fu certamente la sua più grande intuizione. Colpì al cuore le mafie ed evitò l’isolamento e la conseguente uccisione di molti magistrati che prima di allora firmavano e non trasmettevano le loro conoscenze ad altri colleghi, quindi i fascicoli con la loro scomparsa perdevano efficacia. Si superò così la frammentazione delle esperienze e si garantì la condivisione delle informazioni tra magistrati, così come la condivisione delle scelte giudiziarie successive. Il suo metodo è ancora oggi un pilastro delle strategie investigative per la lotta contro le organizzazioni criminali in tutto il mondo. Chinnici aveva una grande conoscenza del fenomeno mafioso. Aveva capito che occorreva indagare sulle connessioni tra mafia, politica e imprenditoria, che era necessario monitorare i movimenti di denaro sui conti correnti bancari. Un genio nel suo settore.

Con lui lavorarono anche due grandi magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fu anche questa una grande intuizione?

Certamente sì. Rocco Chinnici si racconta li avesse scelti con cognizione di causa. Scelse uno per uno tutti i giudici con cui formare quel gruppo di lavoro in seguito denominato pool antimafia. Paolo Borsellino lo affiancava già da qualche anno, Giovanni Falcone invece arrivò dopo. Chinnici lo convinse a trasferirsi dalla sezione fallimentare del tribunale di Palermo all’ufficio Istruzione. Voleva avviare le prime indagini bancarie e pensò di sfruttare la capacità di leggere i bilanci societari e di ricostruire i movimenti di denaro che Falcone aveva maturato in quello specifico ambito.

Io sono una ragazza di quindici anni, secondo lei quanto è importante coinvolgere in dibattiti e incontri noi giovani al fine di sensibilizzare le coscienze sui temi della lotta alla criminalità organizzata?

Io ne ho fatta una delle mie ragioni di vita. Spiegare cos’è la mafia, come si evolve quando esistono ancora zone dove ne è negata l’esistenza, diventa determinante. Parlo e discuto spesso con i giovani, mi confronto con loro e devo dire che mi danno molte soddisfazioni e speranze per il futuro. L’illegalità trova terreno fertile dove prosperano ignoranza e povertà per cui sono convinto che occorra necessariamente scommettere soprattutto sui giovani e credere in loro rendendoli consapevoli, in grado di esercitare i diritti e di fare le proprie scelte. 

Lei è stato amico di Antonino Caponnetto e con lui ha girato nelle scuole italiane, cosa ha significato per lei conoscere un magistrato di quel valore?

La sua conoscenza è stata un periodo bellissimo della mia vita. Il suo insegnamento mi accompagna ancora oggi. Il suo modo di essere magistrato, severo ma umile al tempo stesso, mi ha fortemente ispirato nelle mie scelte di vita e professionali. Era umano nei confronti delle persone sempre e con chiunque, un vero servitore dello Stato. Prima di morire mi raccomandò di continuare a ricordare tutte le vittime di mafia nei miei incontri e di andare sempre oltre le difficoltà per portare avanti quello in cui si crede.

Caponnetto le ha mai parlato di Chinnici?

Sì. Lui lo conobbe tramite i racconti di Falcone e Borsellino che di Chinnici erano collaboratori. Mi disse che Chinnici era molto stimato per il forte attaccamento ai valori della giustizia, della legalità, del senso del dovere, della fedeltà allo Stato e alle istituzioni pubbliche. Poi lo definì uno stacanovista perché era in grado di smaltire impressionanti quantità di fascicoli studiandoli meticolosamente. 

Che cosa direbbe Rocco Chinnici a una giovane come me oggi?  

Credo le racconterebbe chi sono e come si arricchiscono i mafiosi e la spingerebbe a formarsi una nuova coscienza tenendo sempre come riferimenti l’impegno sociale, la passione per quello che si fa e il senso di responsabilità per le condotte che si pongono in essere. Penso le direbbe questo.