Lo specchio dei desideri – Racconto

Alla fine mi è toccato guardarmi allo specchio. E giuro che non lo volevo fare.

Avrei preferito girare un po’ su Instagram, vedere che c’è di nuovo, o al limite scendere di casa e fare una corsa al parco: sudare mi ha sempre fatto bene, fin da bambino.

Però lo specchio mi dice che se riuscissi a raccontare tutto, fino in fondo, sarei per una volta dalle parti della verità.

Chiudo gli occhi. Che diavolo sto facendo?

Scruto per un attimo la soffitta intorno a me, restando immobile, la tentazione sempre maggiore. Alle orecchie mi arrivano attutite le grida dei manifestanti, maschi per di più, che chiedono a gran voce il rispetto dei loro diritti, che per una volta siano considerati alla pari delle donne.

Sospiro lanciando un’occhiata alla finestrella semi-aperta. Sarebbe bello, sarebbe bello davvero se un giorno fossimo davvero uguali. 

Non faccio in tempo a pensare questo che di nuovo avverto il suo influsso, l’influsso di quel maledetto oggetto.

In famiglia si tramanda da generazioni una leggenda, ma non ci avevo mai creduto. Fino a oggi. Ora il mito per eccellenza è proprio qui davanti a me: lo specchio dei desideri.

Vorrei lasciarlo perdere, dargli le spalle e andarmene, ma è troppo forte rispetto al ragazzino smilzo che poi sarei io. E anche il mio segreto lo è e preme per uscire da dove lo avevo rinchiuso.

– Guardami… –

Scuoto il capo, le mani fra i miei capelli neri perché in testa mi sta balenando un desiderio, tutto ciò che vorrei essere, ma non posso, davvero non posso.

Mi immagino già le battute in famiglia e dei vicini, i loro sguardi carichi di divertimento. Probabilmente mi indicherebbero i libri di storia ricordandomi che non sono adatto a questo, lo dice la genetica. È la stessa genetica che afferma che il mio unico compito in questa società è aiutare a concepire figli, nient’altro. Non mi è dato altro ruolo e di certo non mi darebbero mai il permesso di fare quello che vorrei, sono un ragazzo, d’altronde: devo stare buono ed essere protetto.

Però questo specchio potrebbe esaudire ciò che batte nel mio petto alla stessa velocità del cuore e io non posso davvero frenarmi.

Lentamente alzo lo sguardo, il corpo che mi trema incessante e per un attimo vedo la sua figura opaca, prima di voltarmi e scappare fuori dalla soffitta, lontano dalle reliquie di mia nonna, lontano da quel maledetto specchio impolverato e dimenticato.

“Finalmente ti sei deciso a… Marco, come diamine ti sei conciato?” esclama mia mamma fissandomi a bocca aperta. Tiene in mano la borsa del lavoro e vedo per una frazione di secondo mio padre che, mentre è impegnato a cucinare, mi lancia un’occhiata sorpresa.

Io resto fermo, sgranando gli occhi: una muta consapevolezza ha preso piede dentro di me. Poi ricomincio a correre, lontano da loro, lontano da tutti, nonostante il mio corpo si stia muovendo a passi di danza.

Quel maledetto specchio ha esaudito il mio desiderio.

Sono di nuovo in soffitta davanti a quello e lo prego, lo scongiuro che mi liberi da questa maledizione ma le scarpette da ballo sono sempre lì ai miei piedi insieme alla tuta nera.

Mi lascio cadere a terra, le mani sul viso perché è la mia fine. Non posso permettermelo questo svago, no. Mia sorella Beatrice potrebbe farlo, non io, ne sono consapevole e forse è per questo che fa così male.

Non so per quanto tempo resto così, mentre sento di sotto le loro voci concitate, ma nessuno viene a cercarmi. Se Bea fosse a casa probabilmente verrebbe. Salirebbe e capirebbe, ne sono certo, ma alla fine della sua lezione manca ancora mezz’ora e io sono terrorizzato al pensiero che possa giungere mia madre.

Mi direbbe di piantarla con queste sciocchezze e di studiare, forse così riuscirei a ottenere il posto all’ufficio di fronte, maledicendosi per l’ennesima volta di avere avuto un maschio. E questo farebbe più male di qualsiasi insulto.

Non sento più alcun rumore in casa ed è questo che mi spinge ad alzarmi. Guardo davanti a me e per un attimo mi sembra di essere in un salone da ballo, le luci accese sul soffitto e la sbarra di legno che percorre tutta la lunghezza della stanza. Ascolto la voce dell’allenatrice e stavolta non dà consigli a mia sorella, li dà proprio a me come se potessi essere uno di loro, come se fossi uguale a loro.

L’illusione si infrange davanti ai miei occhi perché no, è impossibile. Non è sport per me, anzi, per me sarebbe meglio restare a casa a cucinare e a badare alla casa, come consigliano le pubblicità in tv.

Sono un ragazzo, è quello che mi spetta, eppure non riesco a trovarlo giusto. Più volte ho chiesto a mia madre perché io non potessi fare ciò che faceva Beatrice, ma lei ogni volta rispondeva la stessa cosa:

“Siete aggressivi per natura: è per questo, tesoro. Solo per tenervi al sicuro da voi stessi…”

Ogni volta replicavo che non potevamo essere tutti così, che io, suo figlio, non ero affatto così, ma lei sospirava scompigliandomi i capelli, come se ci fossero cose che io non avrei mai capito solo per il mio essere maschio. A quel punto interveniva di solito mia sorella, sempre pronta a farmi sentire come lei, portandomi alle sue lezioni e nella sua vita, nonostante tutti mi guardassero strano.

E ora come potrebbero non farlo? Sono vestito da ballerino quando nemmeno esistono maschi che ballano, non sembra nemmeno possibile concepire il concetto. 

Solo mi chiedo: perché? Perché non posso fare qualcosa che mi piace? Perché non posso farlo solo perché sono un ragazzo?

Non lo sopporto e non mi sembra corretto.

A scuola ci insegnano che siamo tutti uguali, qualunque sia il nostro sesso, eppure poi nel mondo reale la donna è sempre migliore dell’uomo. 

Perché, per qualcosa su cui non ho il minimo controllo, non posso essere libero di scegliere cosa fare? Chi essere?

È con questi pensieri che faccio qualche debole passo, incerto su quelle scarpette. Una musica mi risuona nelle orecchie e rivedo le ballerine dello spettacolo a cui ho assistito l’altro giorno di nascosto.

Un sorriso appare sul mio viso pallido mentre imito i loro movimenti. Chiudo gli occhi e faccio una breve giravolta trasportato dalla melodia che esiste solo nella mia testa.

Quando mi fermo ho le lacrime agli occhi. So già che non potrò farlo mai più, che quando questo strano sogno a occhi aperti finirà io non sarò più niente.

Solo un ragazzo come tanti.

Forse è per questo che a volte sento di odiare almeno un po’ mia sorella: lei ha tutte le possibilità di questo mondo, sono sicuro che diventerà famosa e sarà pagata una fortuna.

Sospiro crollando a terra. Io invece non ho speranze. Sono un maschio e come tale so già che non avrò la stessa sorte, so già quale dovrebbe essere il mio destino. 

E non è affatto giusto. Non importa se è da secoli che la vita va così, che ci dovremmo solo arrendere alla sorte… Ma perché qualcuno dovrebbe essere migliore di qualcun altro solo in base a una cosa stupida come la genetica?

Mi guardo le mani impolverate e un sospiro malinconico mi esce dalle labbra. Perché? Perché deve andare in questo modo? Io vorrei solo e soltanto ballare fino allo sfinimento, fino a quando le gambe non mi cederanno e io mi lascerò cadere sul palco davanti agli applausi del pubblico e invece sono qui.

Sono qui nascosto in una soffitta perché quello che desidero è sbagliato, ma alla fine come si può decidere se qualcosa è buono o no? Siamo tutti esseri umani, tutti commettiamo errori e io vorrei solo che non andasse così.

“Marco, ci sei?”

Ho paura. Le gambe mi tremano mentre tento di rimettermi in piedi. Non voglio passare la mia vita in questo modo. Non voglio passare la mia vita in silenzio a cucinare pasti alla mia futura moglie. Non voglio passare la mia vita a sentirmi inferiore a lei.

Vorrei solo essere io, Marco Velter, qualunque cosa scelga di fare. Vorrei non ricevere occhiatacce quando cerco di affermare qualche mio diritto, vorrei non dover essere cacciato da luoghi a me non consoni.

Scuoto la testa. Forse davvero mi converrebbe tornare a guardare Instagram, forse sarebbe meglio. Il telefono nella mia tasca vibra, ma io continuo a ignorarlo.

Mia sorella entra nella stanza e io la guardo soltanto, gli occhi lucidi perché non ho più nulla da nascondere, lo specchio ha già detto tutto.

Lei rimane per un attimo immobile, prima di stringermi a lei.

“Cambieremo le cose, fratellino…” sussurra e noto che le trema la voce “Ballerai anche tu, te lo prometto. Ai nostri genitori può importare, ma a me non frega nulla se sei un ragazzo, ok? Non ti preoccupare. Hai sentito la manifestazione oggi? Presto otterrete i giusti diritti, ne sono sicura. Sennò mi batterò io stessa per far sì che succeda”.

Beatrice continua a parlare, la voce rotta mentre io scoppio in lacrime sulla sua spalla. Lei mi abbraccia più forte e per la prima volta appare in me un nuovo sentimento che arriva forte in tutto il mio corpo: la speranza.

La speranza che un giorno vada diversamente, che un giorno per davvero saremo tutti uguali.

La speranza che un giorno anch’io possa ballare senza sentirmi in errore.

È appena l’inizio, c’è tanto da combattere, ma ora esiste la mia speranza e anche l’impossibile mi pare più possibile. E poi non sono solo. C’è Bea con me. Non mi accorgo nemmeno che lo specchio si è scurito e sono tornato con i miei abiti comuni, ma in ogni caso non importa. Non più.

Aspettatemi, un giorno Marco Verter ballerà su tutti i palchi di questo mondo.

 

Sara La Torre / Liceo Classico Galileo di Firenze – Classe 4C