Sorridendo comunque al destino – Racconto

Ero sempre stato affascinato dalle storie di avventura. Oppure da quelle di paura. Insomma: mi avevano sempre affascinato i racconti in cui un “eroe” riusciva ad affrontare le situazioni più difficili grazie al suo coraggio.

Da bambino, ogni sera, mamma mi raccontava una di queste storie: passava ore accanto al mio letto a leggere e ad inventare personaggi e scenari. Ci passava le ore, non mi addormentavo mai: non volevo smettere di ascoltare la sua voce così dolce, non avrei mai voluto smettere.

Una sera smise. Smise, o meglio, iniziò ad addormentarsi nel bel mezzo di una storia ed io, con gli occhi ingenui di un bambino, la fissavo dormire: mi ricordava una di quelle eroine di cui raccontava.

Passavano i mesi, la vedevo più bianca, più debole ma sempre sorridente. Mi portava più spesso fuori, al parco, mi regalò un cane, un Setter Inglese: Schizzo. Ero felice, ingenuo e felice. Ero felice perché la vedevo ridere spensierata, guardarmi con occhi sempre più colmi di amore.

Una sera la sentii piangere. Era in salotto con babbo ed io, curioso come ero – e come sono – feci capolino dalla porta.

«Sta per finire tutto… non ha funzionato» sussurrò il lacrime a mio padre, che strinse quel corpo tanto amato e sempre più gracile a sé.

«C’è ancora speranza… una misera speranza…» disse con un filo di voce mio padre, «deve esserci speranza, per lui».

«Non c’è più speranza, è questione di giorni, al massimo di settimane» rispose dura mamma.

Lì, sul momento, non capii, parlavano in modo incomprensibile.

Compii otto anni: mi regalò la sua collana, mi abbracciò, pianse, tossì forte.

«Ti amo, piccolo» mi disse piano,

«Anche io mamma…» feci per abbracciarla e solo in quel momento mi accorsi che le mie mani non affondarono più nei suoi morbidi capelli neri.

Pochi giorni passarono, capii. Strinsi la sua collana, io le regalai dei fiori.

Gli anni passavano più lenti, ma sorridenti. Il ricordo del suo sorriso mi dava la forza, e me la dà tutt’ora, è solo grazie a lei che sto affrontando il fatidico «Ha un mese o poco più da vivere» ricevuto ormai quasi un dannato mese fa.

Babbo ha donato corpo e anima nella ricerca per il tumore che ha portato via mamma, ha donato talmente tanto che anche lui si è ammalato.

Nel corso di tre anni, ho benedetto a modo mio ogni giorno in cui lo vedevo prepararmi la colazione, sorridente come quando guardava mamma coi suoi occhi scuri.

«Vedi, siamo tutti dei guerrieri. Tutti abbiamo le nostre battaglie e, anche se ne usciremo vinti, dobbiamo lottare. Dobbiamo tenere alta la speranza anche quando la danno per perduta, in questo modo vinceremo sempre» mi disse una mattina, avvolto dall’odore penetrante del caffè appena fatto.

«Ma qui la speranza c’è, vero?» gli chiesi, incerto.

«La speranza c’è sempre. Anche quando la cura non funziona, anche quando tutto è perduto. La mia speranza sei tu, il tuo sorriso. È lo stesso di tua madre».

«La mamma…»

«Te la saluterò».

Non gli risposi.

Poi un giorno ero lì, in cucina, seduto alla finestra, intento a sorseggiare il caffè che mi ero appena versato; avevo preparato la colazione per due persone, almeno babbo si sarebbe riposato ed avrebbe trovato tutto pronto.

«Schizzo, cosa c’è da ululare tanto?» chiesi ridendo al mio amato Setter, il preferito dei miei cinque cani. Lui mi fissò con i suoi occhietti intelligenti poi, scodinzolando ed uggiolando piano, zampettò verso la camera di babbo: pallido, più pallido del solito. Mi sedetti accanto a lui e gli presi la mano, sorridendo.

 

Questa è la mia storia, quella che volevo ascoltaste per salutarli al meglio, col sorriso, come hanno sempre affrontato tutto. «Sei il più coraggioso di tutti, perché stai domando la tempesta della tua vita con il sorriso» è stata l’ultima cosa che ho sentito uscire dalla bocca di mio padre ed adesso che sono qui, in piedi, davanti a voi, in una dannata chiesa per la prima volta in vita mia, con la voce che mi vacilla ma non crolla, sorrido parlando di loro, di lui. Tutti mi avete detto che sono solo, che non riuscirò ad affrontare tutto, che crollerò sotto il peso della vita.

È vero, sì, anche io sono malato, ma affronterò la mia vita a testa alta, gli eroi delle storie che tanto amo portano speranza: io sono la speranza di due persone. Dissi. Poi, lentamente, sorrisi.

 

 

Laura Cappelli

Classe 5B – Liceo Classico Galileo di Firenze