Caro diario, il mio nome è Mary – Racconto

 

Ciao a tutti io sono Elettra, sono una ragazza abbastanza semplice: mi vesto sempre con abiti sportivi e tengo sempre i capelli raccolti in una confusionaria coda dalla quale spuntano numerose ciocche, che si dirigono in tutte le posizioni facendomi sembrare uno spaventapasseri.
La mia disgrazia più grande è quella di non aver conosciuto i miei genitori, morti in un incidente d’auto quando avevo solo pochi mesi; da allora vivo con la nonna che si è sempre fatta in quattro per me o almeno era così prima che si ammalasse, adesso sono io a dovermi occupare di entrambe, la nonna riesce ad alzarsi e fare ciò che faceva prima ma basta poco per farla accasciare a terra. Fatta questa breve introduzione su di me e la mia vita, vi dirò che non sono qui per narrarvi gesta fantastiche di un’orfana dalla lunga coda di cavallo, bensì per raccontarvi della tragica, passionale e dal finale ancora non scritto storia di una donna che al tempo era una ragazza dai mille talenti e dall’intelletto inimmaginabile, che adesso è seduta su una sedia di vimini, con in mano una tazza di tè, a contemplare dalla veranda il panorama dei campi in campagna.
Iniziamo… una calda mattina d’estate, per cercare di sfuggire alle consuete pulizie di casa, mi sono svegliata all’alba e di soppiatto mi sono affrettata a raggiungere la porta. Passo dopo passo, sempre più vicina, ero arrivata; stavo per aprire la porta, quando alle mie spalle sentii la voce particolarmente severa e irritata di mia nonna che mi intimava di tornare subito sui miei passi e di aiutarla a preparare la colazione, se non avessi voluto essere confinata a fare le pulizie per il resto della mia vita.
A quel punto, un po’ scocciata, tornai sui miei passi e mi diressi in cucina, dove, dopo aver fatto colazione, pulii e misi a posto insieme a mia nonna che rideva ancora a causa della mia faccia sorpresa, quando mi aveva colta in fragrante. Dopo svariate ore passate a pulire la gigantesca casa mi diressi verso la soffitta, ultimo posto da pulire e mettere a posto entro fine giornata.
Dopo un’infinità di rampe di scale giunsi finalmente in soffitta; non c’ero mai stata, era una grande stanza piena di lampadari impolverati ormai messi da parte, teiere e tazzine di tutte le forme e colori più svariati e di tutti i più impensabili ed antichi oggetti mai visti.
Presa dallo sconforto a causa di quel polverone che si alzava e aumentava ad ogni passo, mi misi a pulire e riordinare quella specie di discarica che mia nonna chiamava soffitta; cominciai con il pavimento, poi il soffitto, il muro, i lampadari le scatole… continuai senza interruzione fino a quando non inciampai su un tappeto, che mi fece cadere su una pila di scatole che mi si rovesciarono addosso. Una volta rimessa in piedi, incominciai a raccogliere i libri uno per uno per riporli nuovamente in quegli scatoloni polverosi. Mentre finivo di sistemarli, mi accorsi che una parte del pavimento, quella coperta dal tappeto, faceva uno scricchiolio diverso; presa dalla curiosità e anche dalla paura che potesse esserci un buco, col pericolo di caderci dentro, decisi di alzare il tappeto per poter osservare con i miei occhi cosa causasse quello strano cigolio.
Stavo per alzarlo, la paura che potesse esserci un buco o la presenza di un topo, mi stava facendo tremare…1, …2, …3 …e alzai il tappeto! I primi secondi non riuscii a capire cosa ci fosse a causa del polverone che si era sollevato, ma appena lo vidi ne rimasi sorpresa. Era una botola! Non sapevo dove portasse, sapevo soltanto che mi avrebbe portata da qualche parte, e chissà se sarei riuscita a tornare indietro.
Così, prima di scendere in quella che sembrava la strada per un luogo spaventoso e probabilmente buio, decisi di prendere una torcia e di legare una fune, che avevo trovato in un angolo della stanza assieme alla torcia e ad altre cianfrusaglie; legai la corda attorno ad un mobile e mi calai in quello che sembrava uno scivolo per l’aldilà.
Continuavo a scendere nel buio totale e ciò scatenava in me una sensazione di ignoto, di curiosità, ma anche di paura. Trascorso un tempo per me interminabile, atterrai su qualcosa di duro; subito accesi la torcia e mi ritrovai così in una grande stanza dalle pareti in mattoni e dal soffitto altissimo, nella stanza c’era solo una brandina munita di materasso, coperte e cuscini, delle scorte di cibo e al centro di quello che sembrava un bunker c’era anche un enorme tavolo in pietra nel quale mancavano dei mattoni che lasciavano un vuoto riempito da una scatola. Mi diressi subito a passo spedito verso quella scatola per osservarne il contenuto. Era una scatola polverosa, ma si potevano ancora notare, nonostante l’inesorabile trascorrere del tempo, la raffinatezza dei motivi floreali disegnati sopra. Ero emozionata, pensavo che all’interno avrei trovato un grande tesoro. Così con trepidazione immensa la aprii e vi trovai… un diario, un piccolo, vecchio polveroso diario!
Ero un po’ delusa, mi aspettavo il tesoro più prezioso e più bello mai visto, come per esempio il vaso di Pandora o cose così e invece avevo tra le mani solo un semplicissimo diario. Però, dato che ero giunta fin lì non volevo aver sprecato tutto quel tempo per ritrovarmi con un pugno di mosche. Decisi, così, di leggere quel manoscritto dalla copertina ingiallita. Percossi il materasso, mi ci adagiai sopra e mi misi a sfogliare quel vecchio manoscritto…

15 ottobre 1938

Caro diario,
il mio nome è Mary Dubois Durand. Sono una ragazza semplice dai lunghi capelli biondi e gli occhi celesti. Oggi è il mio quindicesimo compleanno, mi sono trasferita qui in Italia dalla Francia tredici anni fa a causa del lavoro di mio padre che lo porta a viaggiare molto.
Questo è il miglior regalo di compleanno che abbia mai ricevuto nel corso della mia vita, se non contiamo Strudel, il mio gatto; i miei me lo hanno regalato qualche anno fa e da allora non ci siamo più separarti. Caro diario, ti scrivo anche per raccontarti di Josh, il ragazzo della porta accanto, che ha due anni più di me e che tutte le mattine vedo passare davanti alla mia finestra. Mi imbarazza dirlo, ma è molto carino. Non abbiamo mai avuto molte occasioni di parlare, ma quelle poche volte è stato come se una nube incantata ci portasse altrove, non so se mi spiego?!
Comunque, ti volevo dire che oggi mi ha lasciato davanti alla porta un pacchetto ricoperto da una carta a fiori, sopra il quale c’era un biglietto con su scritto: “È un regalo da parte mia, spero ti piaccia… P.S. mi piaci molto! Sei tanto carina e simpatica!
Ti rendi conto, caro diario? Io gli piaccio!
Il ragazzo che mi piace, da quando ho tre anni, si è finalmente dichiarato! Sto ancora saltando dalla gioia.
Comunque, adesso si sta facendo un po’ tardi ed è meglio andare a dormire. Notte, caro diario.

Ero emozionata avevo tra le mani il diario che mia nonna aveva scritto fin dalla giovinezza. Lessi altre pagine, altri giorni, giorni nei quali mia nonna viveva la sua vita e nei quali si frequentava con quello che pensavo essere mio nonno. Avevo letto persino del giorno in cui le aveva fatto la proposta, in modo molto semplice ma molto romantico; avevo letto di come il matrimonio fosse stato organizzato in fretta per paura dell’incombere di una minaccia… la guerra e di come la nonna ne fosse terrorizzata. Stavo per leggere il giorno 15 agosto 1939 quando una voce proveniente dall’alto incominciò a dire: “Elettra! Dove ti sei cacciata? È ora di pranzo, sbrigati!” Era mia nonna. Durante il pranzo non feci neanche cenno a ciò che era accaduto e subito dopo corsi in soffitta con la scusa di dover finire di pulire quella stanza con tanta polvere quanta sabbia c’è nel deserto.
Tornai in quel posto antico, oserei dire magico e ricco e ricco di storia, mi risedetti su quella polverosa brandina e continuai a leggere…
Ero sbalordita, i mesi seguenti diceva al diario che andava tutto bene e che era felice ma qualcosa era cambiato si leggeva tra le righe c’era qualcosa che non quadrava, così andai avanti continuando a leggere le pagine alla ricerca di quel qualcosa, finché non giunsi al giorno 10 giugno 1940

10 giugno 1940
Caro diario,
ho paura, il cielo si è tinto di rosso e le urla delle madri che hanno perso i figli o i mariti o entrambi si sentono sin dalle campagne e sono una tortura. Mi si aggroviglia lo stomaco udendole e mi sento male al solo pensiero. Ho la nausea e mi ripugna il pensiero, anzi non capisco il motivo di questa guerra che sta strappando i figli dalle braccia delle madri; è una guerra priva di senso e rischia di farmi perdere ciò che ho di più caro in un battito di ciglia. Caro diario, io voglio lottare e no, non mi fermerò, anche perché mi sembra di essere nell’Inferno dantesco.

Lessi altre pagine nelle quali ripeteva lo stesso concetto e raccontava la situazione e lo scenario apocalittico della guerra; raccontava solo questo o almeno era cosi fino al giorno 3 novembre 1940.
Da quel momento tutto sembrava complicarsi, la sua vita era diventata difficile; mia nonna era rimasta incinta, poi aveva perso il suo bambino in un bombardamento da cui era uscita miracolosamente illesa. Trascorreva le sue giornate in attesa di notizie dal fronte, pensando al suo più grande amore, e non contenta cercava di aiutare chiunque avesse bisogno. Fin quando …il 10 dicembre del ‘43 Josh fu trovato morto carbonizzato.
Continuai a leggere attonita tutto ciò che aveva passato dopo la morte dell’amore della sua vita, era arrivata persino a fingersi un uomo pur di lottare per i suoi ideali. Può sembrare una follia, ma io credo che sia stata una donna forte, coraggiosa e molto determinata.
Era riuscita ad andare avanti, nonostante si sentisse vacillare in tutto ciò che aveva, compresa la fede. Sembrava che non avesse amici e non li volesse… così scriveva nel giugno del ’44:
“Non ho amici qua nella Resistenza e non li voglio, nessun sentimento, niente amicizie dato che, come disse Ungaretti nella sua bellissima poesia, Si sta come d’autunno gli alberi le foglie”.
Continuai a leggere, la guerra era finalmente finita, ma lei ancora non era riuscita a riprendersi, si sentiva, da quello che scriveva, che doveva esser molto sola e triste… quando un giorno finalmente incontrò in un locale mio nonno. Fu subito amore corrisposto, erano due anime che finalmente riuscivano a ricongiungersi e a darsi quella pace reciproca di cui avevano bisogno.

Si sposarono velocemente e dalla loro unione nacque mio padre, queste sono le pagine conclusive del diario…

20 marzo 1947
Caro diario,
oggi tengo tra le braccia mio figlio, L’amore della mia vita e ciò significa che il nostro tempo insieme è finito e che in un futuro, spero non troppo lontano, verrai portato avanti da una mia discendente che potrà concludere la mia storia ed iniziare il racconto della sua.
Tanti saluti da Mary Dubois Durand.

Da lì in poi solo pagine bianche. Ero meravigliata dalle peripezie compiute da mia nonna nella sua giovinezza; a tal punto da non poter accettare quel finale. Così rimisi tutto come era e risalii in soffitta con il diario sotto braccio.
Corsi subito in veranda dove, seduta su una sedia a dondolo, si trovava mia nonna. Scrutava l’orizzonte e, prima che io aprissi bocca, mi disse in tono sarcastico: “Adesso la soffitta sarà brillante come un tempo”. Dopo quelle parole posai sulle sue ginocchia il diario e con uno sguardo sereno mi disse che confidava nel fatto che io un giorno lo avrei trovato e ribadì come scritto sul diario che adesso era il mio turno e che quel compito, se lo desideravo, era mio.
Io poi le dissi che volevo sapere tutto nei più minuziosi dettagli, ma lei mi fece sedere sulle sue gambe e continuò dicendomi che un giorno, non molto lontano, avrei trovato tutti i chiarimenti sempre tra quelle mura, le mura di una casa ricostruita da zero assieme al suo grande amore, ma che per il momento non era necessario dire altro. Così, piena di domande, corsi in camera, mi sdraiai sul letto e cominciai a scrivere…

Caro diario,
io sono Elettra Dubois Durand…

Elettra Clementi / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze