Coraggio – Racconto

“Quando ero giovane, quel fatidico giorno mi svegliai che era ancora buio. Non mi ero mai alzato così presto e le ore di sonno perse si fecero sentire quando, dopo colazione, dovetti scendere per aiutare mia madre con i lavori di casa .
Improvvisamente fuori dalla porta sentii un’esplosione e andai ad aprire la finestra per vedere cosa era successo: una lingua di fuoco alta due o tre metri si levava sulla strada e, mentre ero intento ad osservare l’accaduto, rimbombarono altri scoppi in successione.
Allora quello che si vociferava in giro era vero: la guerra era iniziata e quindi, come tutti i ragazzi della mia età, mi sentivo in dovere di proteggere la mia patria.
Mia madre me lo ripeteva tutti i giorni che dovevo rivedere la mia decisione, ma mi ero impuntato sulla mia e tutti sanno in famiglia che quando voglio fare una cosa nessuno mi può far cambiare idea.
Tre mesi dopo ero partito e stavo marciando per la strada per il fronte occidentale.
Arrivammo dopo cinque giorni di cammino, le condizioni al fronte erano pessime: il cibo scarseggiava e i feriti vivevano in condizioni pessime.
Avevo avuto fortuna perché per il momento non eravamo mai andati a cercare di conquistare la trincea avversaria dei crucchi ma avevo saputo da un commilitone
che di lì a pochi giorni il nostro plotone sarebbe partito.
Il giorno fatale ci dissero che dovevamo riuscire ad attraversare il campo di battaglia per arrivare dall’altra sponda e mettere in ritirata i tedeschi.
Preparai lo zaino e mi misi il fucile in spalla, volevo finire presto questa storia, così misi un piede sul primo scalino della trincea. L’ansia che saliva e la paura e l’adrenalina prendevano il sopravvento e, quando il sergente appoggiato al muro dette il via per la carica, io mi bloccai, non riuscivo ad andare avanti, il superiore si avvicinò a me e mi urlò nell’orecchio che, se non mi muovevo, me l’avrebbe fatta pagare: un formicolio mi attraversò la schiena, era il coraggio che mi invadeva, salii la scala e cominciai a correre nella direzione in cui andavano tutti.
Improvvisamente tutto intorno a me scomparve, il campo di battaglia non c’era più e io correvo all’impazzata verso un luogo sconosciuto.
Pensai «ma chi me lo fa fare?» e così mi ricordai: «sono stato io a deciderlo, quindi adesso posso cadere a terra e aspettare la fine oppure alzarmi da terra e cercare in tutti i modi di sopravvivere».
Decisi che dovevo continuare a vivere e mandare avanti la lotta contro l’impero asburgico.
Caddi a terra perché ero inciampato in una buca, mi rialzai subito dopo perché non potevo permettere che mi prendessero.
Cominciai a correre verso la trincea dei crucchi, improvvisamente sentii una fitta di dolore al petto, vidi tutto bianco, non sentivo più le gambe e così non ressero più il peso del mio corpo e svenni per terra”.
Mio nipote allora mi chiese: “Ma quindi, nonno, sei morto in guerra?”
Ho cercato di mantenere la calma perché dopotutto quello era mio nipote ed era piccolo.
“No” risposi “Se fossi morto, ora non sarei qui a raccontarti la storia”.
Ripresi il controllo e continuai: “Mi risvegliai nell’ospedale da campo e tutti in giro erano esaltati. Scesi dal lettino un po’ dolorante perché avevo preso una bella botta ma fortunatamente il proiettile aveva colpito lo zaino. Presi un commilitone da parte e gli chiesi cosa stava succedendo. «È finita!» mi disse «La guerra è finita!»”
Duccio / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze