Il curling è un diritto di tutti – Racconto

Io mi chiamo Emily Jones, la mia famiglia è formata da mio fratello Alessandro, mia madre Sabrina, e da una signora che ci aiuta in casa che si chiama Carmen. Mio padre è morto quando avevo quattro anni. La cittadina in cui viviamo si chiama Kaltem Tall ed è governata dal governatore Romeo Augustolo e dalla consigliera Smith (sua madre, e sono pure vicini di casa). Nella nostra cittadina si trova un grande fiume chiamato Argine Grande. La nostra città è famosa quando d’inverno vi si svolgono le olimpiadi di curling sull’Argine Grande ghiacciato. Da quando Romeo Augustolo è il governatore a Kaltem Tall le bambine però non possono più giocare a curling. Secondo me tutto ciò è ingiusto: io quando ero piccola e babbo c’era ancora andavo spesso a giocare a curling con lui. Nonostante la nuova legge, io finii di fare I compiti, uscii di casa e mi trovai con dei miei amici a giocare a curling. Poco dopo, mentre stavamo giocando da pochi minuti, una signora vestita con un pelliccione marrone ed un colbacco nero mi si avvicinò e mi guardò attentamente scrutandomi e mi disse: “Cara, sai che non puoi giocare a curling, vero?” “Sì”le risposi. Lei mi prese per un braccio e mi portò nel cosiddetto “palazzo imperiale”, cioè al grattacielo che ospita gli uffici del governatore; poi Romeo Augustolo chiamò mia madre la quale pagò una multa e quindi siamo tornati a casa. A me dispiaceva perché non trovavo giusto che mia mamma, una donna povera che deve badare a me, pagare le tasse come tutti e mantenere una famiglia da sola, debba pure pagare una multa perché io sono ribelle: mi sento in colpa per tutto questo. Per due mesi rimasi chiusa in casa a riflettere fino a che non mi venne una geniale idea: mi vestii con I vestiti di mio fratello, prima il cappotto, poi la sciarpa, quindi il cappello: mi guardai allo specchio e cercai di trovare qualsiasi indizio che potesse far venire il dubbio che non fossi un ragazzino! Non lo trovai, salutai la mamma ed uscii. La mia idea funzionava, così riuscii ad uscire ed a giocare. Andò avanti per sei mesi. Ero fuori a giocare quando Smith con quel solito pelliccione marrone e il solito colbaccone marrone si avvicinò così tanto quasi da sentire il suo battito cardiaco, mi guardò attentamente: sembrava che mi avesse scoperto ma per un pelo non ci è riuscita. Dopo due giorni ritorna, mi scruta per un minuto: avevo la testa con i capelli fradici dal sudore, poi mi accorgo che mi era rimasta una ciocca di capelli biondi sul viso, dopo poco con un gesto bruto quella megera mi lanciò via il cappello e mi disse: “Lo sapevo, chi pensavi di ingannare? Me no di certo!” Prendendomi per un orecchio mi trascinò al “palazzo imperiale” un’altra volta. Aveva convocato lì mia madre e nel frattempo, siccome non potevamo pagare una multa, la Smith ci fece rinchiudere in una prigione nel sottosuolo del palazzo; dopo poco delle guardie mandate da Smith tornarono con Alessandro e Carmen, e rinchiusero anche loro dietro le sbarre. Qualche minuto più tardi mi resi conto di avere in tasca tre forcine per capelli, ne presi una e provai a forzare il lucchetto: non ci riuscii, ne presi un’altra , nulla da fare, poi presi l’ultima forcina e la infilai nella serratura: non ci potevo credere, vidi il lucchetto aperto cadere a terra e sentii il cigolio delle grate arrugginite aprirsi. Io senza farmi scoprire uscii dal palazzo imperiale e corsi dalle mie amiche e dagli amici con cui giocavo a curling e mi feci seguire nel palazzo imperiale. A suon di bastonate in testa siamo riusciti ad arrivar nel sottosuolo e mettere le guardie KO. Abbiamo tentato di forzare il lucchetto della porta della galera dove dentro c’erano Carmen e Alessandro, ad un certo punto è arrivata la Smith con un martello in mano, me lo voleva tirare in testa, ma lo schivai e il martello mi sfiorò andando a rompere il pesante lucchetto che cascò sul piede della Smith che dopo quel colpo svenne. La prendemmo di peso e la scaraventammo in galera. Romolo Augustolo pur di riavere indietro la sua mammina disse e aggiunse per iscritto alla legge che chiunque, di qualunque genere fosse, d’ora in poi avrebbe potuto giocare a curling. E da quel momento vissero tutti felici e contenti.
Tommaso / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze