Storia del pulcino che voleva perdere peso – Racconto

Un giorno da un piccolo uovo uscì un enorme pulcino. La gallina che aveva dato alla luce quell’enorme essere era disperata. Non sapeva come riuscire a sfamarlo. Ogni mezzora voleva la “pappa”, come la chiamava lui. Ma lei non era l’unica disperata. Anche la nonna chioccia si metteva le ali nelle penne (l’equivalente delle mani nei capelli, insomma) quando vedeva davanti a casa sua quel suo nipotone che le mordeva le penne. Invece il gallo era l’unico felice di averlo dato alla luce (non lo ha dato lui alla luce ma sono le femmine a patire le pene dell’inferno per una mezza cartuccia vivente): continuava a ripetere che più grosso era, più forte diventava. Passarono gli anni ma di muscoli nemmeno l’ombra, però: solo grasso e ciccia. Nel frattempo il cibo scarseggiava per tutti a causa di quel grasso mostriciattolo. Allora, un giorno venne convocata un’assemblea che comprendeva le autorità e gli straccioni, i nobili e i contadini, i benestanti e i non ( ovviamente tutti animali). Le autorità sparlavano di Pittone (è così che si chiamava l’enorme pulcino), come pure i genitori, i nonni, i biszii, i cugini chiacchieravano male di lui. Pittone, che stava aspettando fuori, appoggiò il suo piccolo orecchio al portone per sentire le notizie sul paese ma, quando udì le offese che provenivano dagli abitanti nei suoi confronti si mise a piangere. E per giunta tutti i cittadini quando uscirono fuori cominciarono a fargli le linguacce. La mamma lo prese per mano mentre piangeva e gli disse: “Tesoro, abbiamo preso una dura decisione. Ti bandiamo dal regno finché non imparerai a dimagrire e a controllarti con il cibo”. Disse così mentre lo guardava con aria triste, perché, anche se era birbone o mangione, era comunque suo figlio.
“Ma tu verrai con me?” le chiese Pittone.
“No, tesoro: te la dovrai cavare” disse sua madre mentre lo prendeva in collo (ma lo mise subito in terra perché manca poco le veniva l’ernia).
E così prepararono i bagagli in pelle di cicala e gli abitanti accompagnarono Pittone fino all’alta palizzata che circondava la piccola cittadina. Lui abbracciò tutti in modo eccessivo e partì mentre alle spalle sentiva pianti e applausi. Fece qualche passo quando si ricordò di aver dimenticato il suo portafortuna a forma di pera color tortora. Subito corse dalla mamma e le spiegò quanto fosse importante per lui. In un attimo la mamma corse a casa e glielo porse. Ripartì. Fece qualche metro. Cadde stanco. Dormì per un quarto d’ora e poi si rialzò. Cominciò a camminare mentre guardava il morbido prato sotto le sue zampe. I pioppi si muovevano con il vento e facevano un effetto leggero e piacevole. Lì si sentiva a suo agio. Dopo un po’ la sua pancia cominciò a brontolare: “Dammi da mangiare, ho fame” diceva. Pittone si guardò intorno. Non vedeva granché. Vedeva foglie, pere, piscialletto, erba. Si avvicinò all’erba: non aveva un cattivo odore e il colore era bello. Ne assaggiò un filo. Era squisita. Ne mangiò un po’ e poi si diresse verso le foglie più basse. Fece piazza pulita. Voleva appartarsi lì ma si accorse di non avere più da mangiare. Non si poteva mica appartare lì dove non c’era cibo. Così continuò a camminare finché non scorse un piccolo villaggio. Era il posto giusto. Scese la ripida collina che lo separava dal villaggio. Gli ci vollero venti minuti per rialzarsi. Alla fine ci riuscì. Il villaggio era affollatissimo. Nel villaggio non c’erano solo animali ma anche persone. A Pittone la cosa non piaceva. Sua nonna gli aveva raccontato che quando era piccola gli uomini le avevano tagliato le ali. Non voleva avere a che fare con quei brutti umani. Passeggiò un po’ nel centro. Le persone e gli animali lo guardavano straniti. Vide un bar. Esso era costituito da mattoni grigi e tegole sporgenti. L’insegna non c’era ma si riconosceva dall’odore che era un bar. Un buonissimo odore di marmellata e di torroncini lo invase.
Appena aprì la porta, la musica cessò. Gli altri lo guardarono sbigottiti. “È uno straniero” dissero alcuni bisonti seduti nei tavolini quadrati. Dopo una risatina generale la musica ripartì. Pittone chiese un piatto di wurstel con maionese: li divorò e uscì dal locale. Ora doveva solo cercare un albergo e dimagrire. Poi poteva tornare a casa. Era felicissimo! Ci avrebbe messo due settimane al massimo. Ma… no… ci mise un anno. La prima sera dormì in un monolocale dove mangiò poco. Mangiò due o tre foglie, e afflitto per la stanchezza andò a letto. Il giorno dopo si svegliò di buon umore. Scese fuori. Non vide nessuno, prese il suo zainetto con dentro grissini, foglie, cannocchiale, pere, cartoncini per fare origami e una penna blu. Si avviò per strada guardandosi attorno. Aveva paura. Il sole era ormai alto e le strade cominciavano a riempirsi di tizi strani. Ad un certo punto si senti stringere il collo. Si girò… una bambina lo aveva afferrato. Cominciò a beccarle la mano ma niente. Lei correva all’ impazzata mentre gridava “Babbo, babbo guarda”. Suo padre le corse incontro: “Piccola, che cosa hai nella manina?” le chiese. Lei fece vedere Pittone e il babbo rise: “Brava, piccola, mettilo nella gabbietta con il canarino”. Lei gli tolse lo zainetto e lo mise in una gabbia. La gabbia era buia, sudicia (se la mia nonna vedesse quello schifo le prenderebbe un infarto) e maleodorante. Poco dopo la bambina lo prese e lo mise in un’altra gabbia (lo aveva messo nella gabbia sbagliata): ora non era solo. Nella gabbia, in un angolino c’era un altro uccellino. “Vhi sei?” chiese una voce a Pittone. “Sono un gallo, mi chiamo Pittone e ho 13 anni” disse fiero. “Io mi chiamo Luce e sono una canarina, ho 11 anni”. Si porsero l’ala e se la strinsero. “Perché sei triste e così magra?” le chiese. “Non mi danno cibo da cinque giorni” disse. Pittone consolò Luce. Insieme parlarono, guardarono Peppa Pig, mangiarono, e, piano piano Luce vedeva che Pittone dimagriva. Si abituarono a quella vita. Ogni mese Pittone mandava una lettera a casa e diceva che facendo allenamento gli stavano venendo gli addominali. Luce e Pittone si innamorarono e un giorno decisero di scappare. Chiesero aiuto al cane che abitava con loro. Lui gli prese le chiavi e li rese liberi. Erano così felici… Pittone ripercorse la vecchia strada e rivide i pioppi, l’ erba, i piscialletto. Presto arrivarono alla palizzata dove la madre di Pittone aspettava tutti i giorni il suo ritorno. Quando lo vide, lo abbracciò e la madre lo disse a tutti. Gli altri non lo riconoscevano. Festeggiarono il suo ritorno con il matrimonio di Pittone e Luce. Ma… quando fecero i pulcini, anche questi nacquero grandi e grossi!
Dafne / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze