Recensione del libro “Martin Eden” di Jack London

Quella di Martin Eden è la storia di una spasmodica ricerca della bellezza. Il giovane protagonista, infatti, affascinato dalle alti classi sociali intraprende un percorso di crescita personale per diventare una versione migliore dell’uomo che è. Martin decide così di rinnegare il suo status di marinaio e di dedicarsi interamente alla cultura e all’istruzione, acquisendo gli strumenti necessari per poter raccontare la vita dal suo punto di vista. Il motore propulsore di questa incessante ricerca è l’amore per Ruth, una ragazza benestante che necessita grandi sforzi per essere conquistata. Con il passare del tempo Martin scopre se stesso, si dimentica dell’amore, si dimentica della fame, della vita, dei soldi, di chi lo circonda e si ritrova da solo in un oceano di pensieri che lo travolgono. Tra alti e bassi solo una cosa resta costante nella sua vita: la scrittura. Per Martin scrivere è una forma di catarsi ed è ciò che di più bello possa esistere al mondo. I suoi scritti non riscuotono alcun successo per anni fino a che, per puro caso, un suo racconto diventa popolare e la sua vita cambia radicalmente. La popolarità è una tortura per Martin, che inizia la riconoscere la meschinità e l’ignoranza delle persone.

Quando aveva bisogno di pranzi, nessuno lo invitava; adesso che di pranzi poteva permettersene a centinaia di migliaia e non aveva più appetito, i pranzi glieli tiravano dietro. Ma perché? Non era giusto, non aveva fatto niente per meritarselo. Lui non era cambiato affatto. Le opere che l’avevano reso famoso erano già scritte, all’epoca.”

Martin Eden è un personaggio che cambia continuamente nel corso del libro, ma va sempre verso la giusta direzione, va sempre verso il miglioramento della sua anima, contrastando tutto ciò che la società vuole imporgli. Come un pesce fuor d’acqua realizza quanto il mondo che lo circonda gli stia stretto. L’amore per Ruth era solo un’illusione e la possibilità di utilizzare la scrittura come cura non era più contemplabile da quando i suoi pensieri più profondi erano stati dati in pasto a bocche voraci e ignoranti. Il romanzo finisce in maniera spettacolare e lascia il lettore senza fiato, ma resta perfettamente coerente con il personaggio. Martin si sente vuoto di vita, senza una meta da raggiungere.
Ed è grazie ad una poesia di Swinburne che realizza cosa deve fare:

From too much love of living,
From hope and fear set free,
Whe thank with brief thanksgiving
Whatever gods may be
That no life lives for ever;
That dead men rise up never;
That even the weariest river
Winds somewhere safe to sea.


Eleonora Rimoldi