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Covid. Corea del Sud, contagio contenuto ma privacy inesistente

Ci siamo abituati all’immagine di una Corea del Sud variopinta e vivace la quale ci viene mostrata attraverso la cultura ormai sempre più diffusa del Kpop (Korean pop-music), ma l’era Covid- 19 ci rivela una realtà ben diversa.

La quarantena obbligatoria a causa della pandemia è iniziata nel paese asiatico il 24 gennaio scorso e, ad oggi, non si è mai conclusa.

Le frontiere non sono chiuse, ma chiunque venga dall’estero è sottoposto a procedure obbligatorie che consistono, innanzi tutto nell’installare, l’applicazione di tracciamento, priva delle forme di privacy adoperate in Italia, che monitorerà costantemente, oltre agli spostamenti, lo stato di salute dell’utente. 

Una volta giunti a Seul, capitale della Corea del Sud, al viaggiatore è imposta una quarantena di 14 giorni. Tale periodo verrà trascorso in uno degli hotel che lo Stato ha preventivamente requisito e sigillato. Chi viaggia non è a conoscenza del collocamento del proprio albergo ed il costo del pernottamento ammonta a 1400 dollari. L’isolamento totale vieta l’uscita dalla propria stanza, una piccola camera con finestre sigillate, e comprende pasti consegnati alla porta con alimenti, sempre gli stessi per tutti i 14 giorni, senza possibilità di scelta. La dotazione in albergo è scarsa, senza possibilità di rinnovo durante i 14 giorni di coperte e asciugamani.

La temperatura va misurata 2 volte al giorno nell’applicazione precedentemente installata e durante l’isolamento il viaggiatore viene sottoposto a tampone, ma anche in caso di negatività, la quarantena continua fino al termine delle 2 settimane. 

Una volta raggiunto tale termine, il viaggiatore viene portato nella piazza della stazione di Seul dalla quale finalmente potrà muoversi nel Paese.

Anche qui il sistema di tracciamento, sviluppato nell’università di Seul, svolgerà un ruolo importante indicando al viaggiatore i luoghi dove è possibile andare e quelli dove sono passate persone successivamente risultate positive al Covid, con estrema esattezza. Infatti nel momento in cui si risulta positivi al virus, il governo, tramite GPS, ricava ogni spostamento compiuto, comunicandolo sull’applicazione e avvisando le persone che vi si è incrociate.

Al momento il numero di pazienti in terapia intensiva nell’ospedale dell’Università di Seul è davvero minimo, anche grazie alle rigorose norme igieniche e di contenimento adoperate prima di tutto nell’ospedale, con ingresso differenziato per pazienti Covid e sale isolate per effettuare i tamponi, ma anche in qualsiasi altro luogo del paese.

Lo stato coreano, già colpito dalla SARS 1 e la MERS, aveva assunto infermieri e investito nella sanità e, con l’arrivo dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, non si è trovata impreparata, reagendo con un immediato contenimento dei casi.

Le scuole sono aperte, ma come ogni struttura coreana, con misure rigide. 

Le mascherine sono obbligatorie, la temperatura va misurata a casa ed a scuola, seguendo un ingresso scaglionato tra le classi, con il 30% degli alunni a casa in video lezione e nelle aule vi è una distanza di almeno un metro e mezzo da un banco all’altro. Inoltre, ogni spostamento del personale e degli alunni viene seguito affinché possa essere privo di pericoli

Nella mensa scolastica il pranzo viene servito alle 11:45 e gli alunni nelle proprie postazioni non possono parlarsi e devono mantenere il proprio sguardo dritto di fronte a sé. 

Si può giocare anche a calcio fuori la scuola o comunque praticare uno sport, ma mantenendo sempre la mascherina sul volto. 

Tuttavia, nonostante la pandemia sia così efficientemente contenuta, i danni sull’economia dovuti alla chiusura sono incalcolabili anche nella Corea del Sud.. 

Il numero dei senzatetto nelle periferie del centro di Seul aumenta in maniera esponenziale di giorno in giorno e il divario sociale tra la povertà e la parte in sviluppo del paese si fa sempre più evidente, a causa anche di un capitalismo ferrato ed un welfare insufficiente. 

A cadere in povertà sono maggiormente gli anziani, poiché, spesso, le pensioni sono insufficienti: vivono grazie all’azione quotidiana di centinaia di volontari che lavorano nelle mense dei poveri al fine di fornire pasti ai senzatetto, che nel 70% dei casi non mangerebbero altrimenti.

Flavia De Ruggiero, III C