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Amani El Nasif, la fuga dal matrimonio combinato e la libertà ritrovata

Rubrica “Storie di Donne” di Liberamente Boggio Lera 

 

Amani Al Nasif, giovane sedicenne alla scoperta del mondo, é una ragazza con molteplici passioni, che la rendono unica nel suo genere. 

Amava uscire con gli amici, condividere numerosi aspetti della propria vita con il fidanzato, ma in particolar modo, rifugiarsi all’interno dello studio della cartolibreria in cui lavorava, il quale emanava aria insita di grande interesse. La scrittura, nonché valvola di sfogo e luogo di maggior effusione dei pensieri della ragazza, era da sempre stata la sua passione più grande, per la quale passava notti insonni sprecate alla ricerca di ispirazioni provenienti dall’ambiente che la circondava; ambienti molto spesso caratterizzati dalla tensione che si respirava all’interno delle mura di casa sua, nonché luogo da cui, il padre, decise di fuggire nel corso dei suoi primi mesi di vita.

E fu così, quindi, che Amani, ricevuta dalla madre la notizia di un viaggio verso la Siria per la correzione di un errore sul passaporto, si ritrovò in balia della felicità, sommersa dalla voglia di esplorare un nuovo paese e dal conseguente ampliamento del suo bagaglio culturale; iniziò a saltellare in trepidante attesa lungo tutto il corridoio, e con gioia, prese il cellulare e chiamò il fidanzato Andrea, comunicandogli la notizia. ”Onestamente, non sono per niente sicuro”, rispose quest’ultimo con aria un po’ titubante.

“Non preoccuparti, andrà tutto bene”, lo rassicurò. “Ho già visto la data di ritorno, tra 5 giorni sono di nuovo qui”. 

Tranquillizzato il ragazzo, si diresse verso l’armadio per scegliere il vestiario più consono all’occasione, e dopo aver preparato i bagagli, andò con la madre in aeroporto. 

Dopo la fine del volo, iniziarono ad incamminarsi verso la casa degli zii materni, avente come sfondo la città di Aleppo. Tutti la accolsero con contentezza, in modo particolare le sorelle di sua madre, le quali le indicarono la strada per la sua camera. 

La luce si rifletteva in quella stanza, illuminata, ben arredata, dai particolari caratteristici; la tenda dalle sfumature porpora contrastava la freddezza del muro, bianco e candido, decorato solamente dalla carta da parati dallo stile oramai antiquato, ma affascinante. 

Abbassò gli occhi per guardare il letto, sul quale giaceva un burka dal color plumbeo.

“Indossalo”, disse una delle zie. 

Questo strano vestito, così opprimente e cupo. “Chissà perché devo indossarlo anch’io”, si ripetè tra sé e sé. Si appoggiò alla parete di cartongesso che separava la cucina dalla sua stanza, origliando la conversazione, e strane frasi a iniziarono percuoterle la testa. Incredula delle parole appena udite, iniziò a correre verso la cucina, intenta a chiedere spiegazioni.

“Mia cara Amani”, disse uno dei componenti del gruppo, “hai già scelto cosa indossare durante il matrimonio?“. Si fece color puniceo in volto. 

“Matrimonio? Di chi?” 

Di sottofondo si sentì una risata, e da un angolo, si sentì “il tuo, ti presento tuo cugino, ti ci sposerai tra qualche giorno”.

Indietreggiò verso la porta e scappò via nella sua camera, col cuore in gola. 

“Avevi ragione”, disse chiamando il giovane fidanzato. 

Non fece in tempo a chiudere la chiamata, che qualcuno entrò nella stanza, urlando il suo nome in modo minaccioso. Era appena entrato l’uomo che, da lì a breve, avrebbe chiamato “suocero”.

E così, quella presenza, sempre più vicina e sempre più inquietante, la guardò con sguardo dissoluto; si sentì sprofondare in una voragine di vergogna e remora, senza alcuna possibilità di risalita. Vide una mano avvicinarsi a lei, e in pochi secondi, ripercosse con la psiche tutti i momenti passati con le persone più importanti della sua vita; ogni schiaffo era un segno che marchiava in modo persistente il suo essere, così giovane ma così ferreo. Sentì la pelle pulsare dal dolore, e con rassegnazione, chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un profondo, ma liberatorio pianto, in trepidante attesa della fine dell’incubo che stava vivendo. Non ebbe il coraggio di guardare negli occhi quel mostro che la stava rovinando, colui che impropriamente la considerava soltanto un oggetto da riposare nelle braccia del prediletto figlio.

Iniziò a divenire il bersaglio delle sue parole, così crude e dirette, che imperterrite rimbombavano nella sua testa e le fecero rivoltare lo stomaco. Con energia iniziò ad urlare e a dimenarsi voracemente dalla presa ferrea di costui, che con tono greve, continuava a ricoprirla di insulti e segni violacei sulle guance. 

Improvvisamente sentì quelle mani distaccarsi dal suo corpo, oramai logorato dai continui colpi scagliatesi con tenacia; l’uomo, quindi, prese il telefono della ragazza, lo ripose dentro la tasca, e andò via dalla camera.

In completa agonia, dovette arrendersi al destino per lei previsto; un raggio di pura speranza si iniziò ad intravedere nel momento in cui, quasi più di un anno dopo dall’accaduto, un parente lontano convinse la madre della ragazza, oramai quasi diciottenne, a lasciarla andar via. 

Col cuore infranto e con pessimi ricordi, Amani tornò nella sua amata Bassano Del Grappa, raccontando la sua esperienza in un libro contenente molti di questi episodi, e in varie campagne di sensibilizzazione. Con prontezza, riuscì a sorridere anche di fronte alle peggiori delle situazioni, e a divenire nuovamente padrona della sua vita; quella vita che, fino a quel momento, le aveva riservato solo il lato peggiore.

 

 

Anna Agata Guglielmino, 3ªBSA