La paura dietro la maschera

In Italia ogni giorno 88 donne subiscono atti di violenza e in media ogni due o tre giorni si verificano casi di femminicidio. Un uomo uccide una compagna, una figlia, una sorella, un’amante, magari in famiglia, perché la famiglia non è per forza quel luogo magico in cui tutto è amore. La uccide perché la ritiene una sua proprietà, perché non capisce che in realtà una donna appartiene a sé stessa ed è libera di vivere come vuole, di fare ciò che vuole. A volte però le donne giustificano certi atti violenti per amore… ma l’amore con botte e terrore non c’entra niente.  Un uomo che picchia la sua donna non la ama. E bisogna capirlo fin da subito, dal primo schiaffo perché tanto prima o poi ne arriverà sicuramente un secondo, poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe le costole, non lascia i lividi sulla faccia. Spesso poi si tende a nascondere questi lividi dietro una maschera; una maschera fatta di paura, di timore, di vergogna. E’ il caso della protagonista di  “Segni”, un cortometraggio realizzato dal novarese Marco Paracchini in occasione della giornata contro la violenza sulle donne.                              All’inizio si vede una ragazza che gioca a softball mentre riflette su qualcosa, probabilmente proprio su quello sport che tanto ama, o almeno così crediamo. Parla di giornate dure che le sembrano non finire mai, ma che riesce a superare perché trova la forza di andare avanti. Mostra lividi e  ferite sulla gamba che si procura durante l’allenamento con cadute,  scivolate. Poi però succede qualcosa di inaspettato, si toglie il casco e ci appare il suo viso coperto da lividi. A questo punto chi osserva la scena si chiede: com’è possibile che se li sia procurati sul campo? Aveva il casco che la proteggeva. Ma il problema è proprio questo, quel casco può proteggerla solo mentre fa sport, non a casa. Siamo ancora convinti che quelle sue riflessioni iniziali riguardassero il softball? Che riuscisse ad andare avanti perché era forte? O forse perchè era solo impaurita, terrorizzata? Impotente, sottomessa da un uomo che non merita nemmeno di essere chiamato così, perché un vero uomo si prende cura della sua donna, la protegge, la ama e la fa sentire uguale a lui, non inferiore.  Allora se ci troviamo in questa situazione parliamone con qualcuno, denunciamo colui che ci fa male, sia fisicamente che psicologicamente e rompiamo il silenzio dietro cui ci nascondiamo.

Nathaly Cordova, 1°I, Liceo Linguistico