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Il dualismo della donna medievale attraverso le opere delle scrittrici dell’epoca

Come lettrici e scrittrici, le donne medievali hanno avuto un ruolo quasi paradossale. La loro autonomia e il loro potere era naturalmente marginale, ma al tempo stesso alcune di loro riuscirono ad apportare significativi, eppure quasi invisibili e non riconosciuti, cambiamenti nella prospettiva culturale del ruolo della donna nel corso della storia.

In effetti, il loro ruolo effettivo, da scrittrici, non è lontanamente paragonabile a quello svolto, a livello mondiale, da autrici come Jane Austen o Virginia Woolf e, a livello italiano, da Alda Merini o Sibilla Aleramo, eppure, attraverso il loro doppio ruolo attivo e passivo, sono riuscite a iniziare un processo di affermazione e riconoscimento del potenziale che molte altre donne avevano, ma che per condizioni familiari, affettive e economiche, non potevano permettersi di scrivere, e quindi dimostrare.

Ma perché la loro condizione era paradossale? Negli scritti a noi pervenuti è ben visibile una identità che si distanzia e si differenzia di molto da quella che potevano avere nella realtà: la donna era sottomessa al marito, in pochi casi aveva una rilevanza decisionale nella famiglia e nella relazione. Nelle poesie scritte da loro, però, l’amore è equo e le donne presentano una tale determinazione e passione da sembrare loro a “governare” la coppia, situazione alquanto inverosimile.

Heloise e Abelardo, Jean-Baptise Goyet, 1829

E questo paradosso, questo dualismo presente nella donna medievale, lo possiamo notare in uno scritto di una delle letterate che più incarna la doppia identità, Heloise, che era padrona e moglie, monaca e amante. In una lettera a Pietro Abelardo, storicamente riconosciuto come suo amante, riassume perfettamente la contraddizione della situazione femminile, con il suo stile che miscela affermazione e riflessione interiore:

“Eppure io sono completamente colpevole, e sono anche, come sai, completamente innocente. Non è l’atto, ma è l’intenzione di chi lo compie, ad attuare il crimine, e la giustizia dovrebbe considerare non quello che è stato fatto, ma lo spirito con il quale è stato fatto”.

Per valutare la misura del contributo delle scrittrici medievali, possiamo esaminare l’intenzione di chi lo compie di cui parla Heloise, e quindi l’intenzione di queste autrici. Infatti, spesso, quando si parla di autrici (o pittrici, o artiste in generale) si tende a considerare più il distaccamento dal canone maschile, e quindi l’originalità della donna in questione, piuttosto che l’intento originario dietro l’opera.

E mentre questo discorso può essere valido quando si considerano epoche più recenti, in cui le donne hanno avuto o hanno una maggiore emancipazione rispetto al passato, non si può prenderlo in considerazione quando si vanno ad analizzare gli scritti ad esempio medievali, periodo in cui le donne, per condizione e per formazione, non potevano scrivere, o meglio, non potevano firmare le loro opere, pubblicarle. E le poche che ci riuscivano non avevano le possibilità e le esperienze che permettevano ai colleghi uomini di scrivere quelle opere che ora studiamo sui libri di scuola.

Tra le autrici medievali, quindi, non troveremo una Dante, o una Petrarca (come spesso si legge quando se ne parla, anche se questo va solo a rinforzare il concetto che gli uomini siano il canone), ma come scrive John Guillory, professore della Johns Hopkins University, “la storia dei canoni in sé non spiega niente. È nel contesto sociale dell’opera, e in particolare nel livello linguistico – inteso non come lingua, ma come scelta delle parole, e quello che le parole vogliono comunicare -, che giace il valore dell’opera”.

E cosa ci dicono le parole delle donne medievali? Sono spesso parole forti, che forse neanche ci aspettiamo, forse in contrasto con quella che doveva essere la realtà e la quotidianità delle donne. Nelle poesie giunte fino a noi l’amore è il tema centrale, ma non l’unico. E l’amore di cui si parla è quasi sempre adulterino. Le donne dimostrano un amore incondizionato per l’amante, e neanche così tanto puro come invece nelle opere degli autori uomini. Ancora una volta uno scritto di Heloise, tratto da una sua lettera al suo amante Pietro Abelardo, funge da perfetto esempio: “Dio è mio testimone se Augusto, Imperatore del mondo intero, ritenesse giusto onorarmi con il matrimonio e mi conferisse il possesso di tutta la terra per sempre: sarebbe più caro e più onorevole per me non essere chiamata la sua imperatrice, ma la tua meretrice”.

Heloise, quindi, dice di preferire di essere additata come prostituta e rifiutare tutto il potere del mondo, piuttosto che perdere il suo amato. Notiamo una grande personalità e un grande coinvolgimento da parte sua, ma il suo amore è concreto, non è un’allusione celestiale o naturale, è vero. Forse è questo quello che più differenzia gli scritti medievali femminili da quelli maschili.

Castelloza

Nelle donne troviamo un amore terreno, quasi utilitaristico, ma ciò lo rende ancora più vero, più reale. Nella realtà, l’amore non è sempre divino, ma riesce comunque a portare gioia e vitalità in chi lo prova. Ma quando la persona che più si ama ti ignora, tutta questa gioia rimane solo un sogno. Ciò è ben visibile in questa canso di Castelloza, una delle più importanti trovatrici:

“Considero tutto l’altro amore come niente,

puoi stare certo che nessun’altra gioia mi sostiene

più di quella che mi fai provare tu, che mi rallegra e mi risveglia,

quando mi sento affannata e affaticata;

e ora penso che avrei piacere e gioia da te,

mio amico, che ora non posso chiamare;

non ho altra gioia, né mi aspetto un aiuto

tale a quello che avrò dormendo.”

“Tot’autr’amor teing a nien,

E sapchatz ben que mais jois no’m soste

Mas lo vostre, que m’alegr’e’m reve,

On mais eu sent d’afan e de destric;

E’m cuig ades alegrar e jauzir

De vos, amics, qu’ieu non puosc convertir

Ni joi non ai, ni socors non aten

Mas sol aitan quan n’aurai en dormen.

Per Castelloza l’unica soluzione al rifiuto è dormire: nessun riferimento a elementi naturali o divini. L’amore lo si prova sulla Terra e gli affanni da esso causati sono reali, tangibili.

La produzione letteraria delle donne medievali era quindi un modo per esprimere realmente i propri sentimenti e le proprie paure. E nella lettura di queste opere riconosciamo sensazioni a noi note, provate ancora adesso, che dimostrano un’attualità tale da farle sembrare contemporanee.

Simone Di Minni