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Intervista. Vincenzo Musacchio: “I giovani sono la priorità. È a rischio la socializzazione”.

Vincenzo Musacchio, giurista, più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane ed estere. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto.

Il giurista: la nostra gioventù è la più colpita dagli effetti devastanti del Coronavirus. La scuola sia il valore essenziale da riscoprire e potenziare. La risorsa da cui ripartire resta sempre l’uomo inteso come fine e non come mezzo dell’ordinamento giuridico. Non usciremo da questa emergenza se non recupereremo i nostri giovani che sono fondamentali nella ripresa non solo economica ma anche politica e sociale del Paese. Abbiamo bisogno delle loro forze essenziali e delle loro energie positive.

Professore cosa intende per rischio socializzazione?

Una caratteristica che contraddistingue in modo evidente questa pandemia è l’isolamento sociale associato a insicurezza e precarietà. È venuta meno la dimensione socializzante della comunità. Vede nelle guerre quando c’erano i bombardamenti ci si riuniva nelle cantine ma si restava comunque uniti. Ora invece siamo isolati a casa nell’incertezza e nella solitudine, esposti a variabili indipendenti dalla nostra volontà. Molti dicono che ne usciremo migliori. Io non credo. I più esposti sono soprattutto i più giovani. Limitare la socializzazione significa contrastare la nostra possibilità evolutiva millenaria. Rinunciare alle interazioni sociali per l’individuo significa privazione della sua essenza. Confrontarsi digitalmente non è uguale a interagire di persona. Il rischio più grave è proprio questa difficoltà dei giovani di vivere relazioni sociali reali.

Che cosa pensa si potrebbe fare per i nostri giovani allora?

Senza dubbio creare al più presto relazioni e interazioni reali “faccia a faccia” e non “faccia a schermo”. La chiusura delle scuole dovrebbe terminare al più presto possibile perché certamente ha accentuato le disuguaglianze nell’accesso dei più giovani alle opportunità di apprendimento e di socializzazione. Occorrerà dare supporto psicologico a questa deprivazione sociale analizzando gli effetti differenziali del coinvolgimento attivo o passivo nelle interazioni digitali per comprendere meglio gli effetti futuri della pandemia sugli adolescenti. La didattica a distanza non è al momento sufficientemente inclusiva per quegli studenti con disordini dello sviluppo, disabilità e necessità di seguire programmi personalizzati. Le abitudini scolastiche per quanto possano essere difficili da acquisire rappresentano una delle principali risorse di adattamento e di espressione delle potenzialità individuali. La mancanza di interazioni “faccia a faccia” e la più complessa strutturazione della classe digitale limitano attualmente l’adattamento e la piena partecipazione. Sono questi i problemi che andranno affrontati.

Quali priorità vede più urgenti?

Per minimizzare gli effetti dell’emergenza sociale sui più giovani, si dovrebbero potenziare i servizi di assistenza sociale, dando priorità ai servizi centrati sui bambini con equità di accesso e attenzione alla protezione da violenze e abusi, a estendere l’accesso al digitale, a supportare i genitori. Penso soprattutto alle giovani generazioni, che mi pare siano state colpite molto più di altri da alcuni effetti collaterali dell’emergenza. Ci stiamo concentrando tanto sulla crisi economica e poco su una vera emergenza sociale, forse anche evolutiva, che non deve essere sottovalutata e alla quale sono esposte soprattutto le giovani generazioni e cioè la nostra prossima classe dirigente.

Lei come interverrebbe, se potesse, con quali priorità?

Credo che ogni decisione assunta sacrifichi qualcosa a favore di qualcos’altro. Esiste però un ordine di priorità nelle scelte di valore. Occorre riflettere su quali siano le priorità che si vogliono perseguire, posto che la situazione attuale e quella futura imporranno dei sacrifici a tutti. Guardi le faccio un esempio concreto. Il Governo ha deciso la ripartizione dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund. 48,7 miliardi per digitalizzazione e innovazione; 74,3 per la “rivoluzione verde e transizione ecologica”; 27,7 al settore Infrastrutture per una mobilità sostenibile. Il capitolo “istruzione e ricerca” può contare su 19,2 miliardi, quello sulla Parità di genere su 17,1 miliardi. L’area sanità, infine, conterà su 9 miliardi. Non condivido tale distribuzione. Io avrei ripartito diversamente. All’Istruzione avrei dato 74.3 miliardi; alla Sanità, 48,7 miliardi; alla Giustizia, 27,7 miliardi; alla Transizione ecologica, 19,2 miliardi; alle Infrastrutture, 17,1 miliardi e alla Parità di genere, 9 miliardi. Ecco le mie priorità: Istruzione, Sanità e Giustizia.

C’è un messaggio di speranza con cui vorrebbe terminare questa breve intervista?

Non mi piace molto la parola “speranza” perché induce al fatto che altri agiscano al posto tuo. I giovani non devono avere speranze ma consapevolezza e determinazione in loro stessi, nel fare, nell’agire, nell’essere protagonisti. Il grande valore della libertà della persona deve essere il perno centrale della nostra convivenza civile bilanciato con gli altri diritti e adeguato al variare della situazione concreta ma sempre nel rispetto delle regole democratiche e pluraliste che presidiano la nostra Costituzione. Faccio un breve cenno a uno dei grandi poeti del novecento, Pier Paolo Pasolini, che, purtroppo, si studia poco a scuola. In questo periodo lo sto rileggendo a distanza di quarantacinque anni dalla sua uccisione. Con estrema lucidità e genialità Pasolini ci dice come lo schema delle crisi giovanili sia sempre lo stesso: si ricostruisce a ogni generazione. I ragazzi e i giovani sono in generale degli esseri adorabili, pieni di quella sostanza vergine dell’uomo che è la buona volontà: mentre gli adulti sono in generale degli imbecilli, resi vili e ipocriti (alienati) dalle istituzioni sociali, in cui crescendo, sono venuti a poco a poco incastrandosi. Voi giovani avete un unico dovere: quello di razionalizzare il senso di imbecillità che vi dànno i grandi, con le loro solenni ipocrisie, le loro decrepite e faziose istituzioni. Purtroppo invece l’enorme maggioranza di voi finisce col capitolare, appena l’ingranaggio delle necessità economiche l’incastra, lo fa suo, l’aliena. A tutto ciò si sfugge solo attraverso una esercitazione puntigliosa e implacabile dell’intelligenza, dello spirito critico. Altro non saprei consigliare ai giovani. Io darei lo stesso messaggio di Pasolini nei suoi dialoghi del 1965 che è, come non è arduo notare, ancora oggi attualissimo.

Intervista il 25 dicembre 2020 da Lucia De Sanctis.