STOP agli standard di bellezza

Quante volte sentiamo dire da un adolescente che non è bello? Quante volte non ci sentiamo bene con noi stessi? Quante volte veniamo presi in giro per come siamo? Quante volte ci domandiamo il perché di tutto questo? Perché dobbiamo dire che non siamo abbastanza per colpa degli standard che girano tra di noi?

Purtroppo al giorno d’oggi molti ragazzi e molte ragazze non si sentono abbastanza a causa degli standard di bellezza che ci sono nella nostra società. Non c’è uno standard che possa definire la bellezza di una persona, perché ognuno di noi è bello per quello che è non per quello che gli altri dicono.

Molte volte non ascoltiamo quello che diciamo e non ci rendiamo conto che con delle parole possiamo far soffrire qualcuno che non ha colpa. Nella nostra società non dovrebbero esserci questi canoni di bellezza, anche perché quali sono i canoni di bellezza?

Perché una persona è bella solo se rispetta i canoni?

Siamo tutti belli perché siamo diversi, siamo belli non solo esteticamente, siamo belli soprattutto per come siamo interiormente. Molte volte non ci rendiamo conto che la vera bellezza è quella interiore, molte volte non riusciamo ad aprire gli occhi per vedere chi abbiamo realmente davanti, molte volte non siamo in grado di ascoltare la storia di una persona perché ci fermiamo alla sola apparenza.

Fin dall’antichità la bellezza femminile è stata valutata e misurata sulla base di un modello estetico di riferimento, riconosciuto dalla società in un determinato contesto storico e culturale. Dal modello ideale discendono i canoni estetici, ovvero le caratteristiche tipiche della bellezza. In tale prospettiva, si rende possibile rilevare come ogni epoca storica ha avuto un peculiare modello di bellezza ideale, documentato dalle fonti letterarie e iconografiche che hanno immortalato figure femminili divenute famose. Per il medesimo motivo, dai canoni di bellezza femminile erano banditi i muscoli, giudicati come troppo mascolini e caratteristici delle donne impegnate nei lavori manuali.

Dalla ‘garçonne’ androgina degli anni Venti alla ‘politica del corpo femminile’ nel periodo fascista

Lo stereotipo della bellezza femminile ha un corpo asciutto, magro, con caratteri androgini, asessuato, con seno e vita adolescenziali e fianchi stretti. Le donne iniziano a condurre una vita più dinamica ed a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l’aspetto del corpo. Le nuove icone di bellezza, senza curve, magre e mascoline, simboleggiano l’aspirazione all’uguaglianza e parità tra i sessi. A dettare i canoni della bellezza non sono più le nobildonne rappresentate nei ritratti, bensì le affascinanti dive del cinema muto.

In Italia il regime fascista rivolge al corpo della donna precisi dettami, un’autentica ‘politica del corpo’.

Dalla donna ‘maggiorata’ degli anni Cinquanta alla ‘donna grissino’ degli anni Sessanta

È in tale epoca di guerra e ristrettezze economiche che negli USA compaiono su molte riviste le prime pin-up, procaci ed ammiccanti, sulla scia della donna simbolo della bellezza del periodo, Rita Hayworth, soprannominata ‘l’atomica’ per le sue curve esplosive. Si diffonde la cultura dello sport e il fisico femminile da morbido e burroso diventa sottile, longilineo, tonico e scattante, similmente al modello della donna degli anni Venti. Con lei nasce la ‘donna grissino’.

Dagli anni Novanta al terzo millennio: i significati psicologici della magrezza

Questa associazione tra magrezza ed emancipazione sociale femminile si afferma in maniera ancora più stabile nel terzo millennio in cui, nella società globalizzata, i mass media diffondono per molto tempo il concetto di bellezza equivalente a magrezza, costruendo un intenso quanto deleterio ‘bombardamento mediatico’ focalizzato sui temi riguardanti l’immagine corporea, mediante l’ossessiva pubblicità di corpi perfetti ma irrealistici. In tale contesto storico-culturale, dunque, le icone di bellezza femminile sono le modelle che, altissime androgine e imbronciate, diventano famose come le grandi attrici hollywoodiane, ammirate e imitate dalle adolescenti degli anni 2000.

Quando la ricerca della magrezza si trasforma in psicopatologia

Dal terrore dell’aumento di peso consegue l’alterazione del comportamento alimentare caratteristica del disturbo, che si manifesta attraverso una restrizione dietetica determinata da regole alimentari estremamente rigide e inflessibili, le quali disciplinano il «quanto» e il «cosa» si deve mangiare. Nella maggior parte dei casi, le regole dietetiche a cui si sottopongono le pazienti con DCA impongono una drastica riduzione della quantità totale di cibo ingerita, e vietano nettamente una grande quantità di alimenti, i cosiddetti «cibi proibiti», costringendo la persona ad un’alimentazione progressivamente sempre più limitata ai pochi alimenti consentiti. Viceversa, anche una minima trasgressione a tali regole, lungi dall’essere configurata come l’inevitabile emergere dell’istinto biologico della fame, viene giudicata come «un errore gravissimo», come la prova della propria «mancanza di forza di volontà», innescando in tal modo un’autodenigrazione durissima che alimenta la scarsa autostima, la quale spesso costituisce proprio l’origine del problema alimentare.

Sophia Giulia Motalli 3AL