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INTEGRAZIONE Il “politically correct”: il nuovo medioevo o un passo verso l’integrazione?

Il primo ventennio del XXI secolo è stato caratterizzato senza alcun dubbio dalla “globalizzazione” che ha cambiato totalmente il nostro modo di vivere e di pensare. Si può essere contaminati da culture totalmente differenti dalla nostra. La tecnologia, attraverso il web e i social network, ci permette di contattare persone vicine e distanti. Gli Stati, anche se con alcune difficoltà, cercano di unirsi per trovare soluzioni a problemi comuni quali il cambiamento climatico, lo sfruttamento minorile.

Si è innescato un processo di inclusione e integrazione mai visto nella storia recente dell’uomo. Molti hanno cercato, attraverso la sensibilizzazione, di affiancarsi a chi per anni è stato maltrattato (la popolazione afroamericana, la comunità LGBT, etc.), in modo da favorire la nascita di una società dove finalmente tutti possano essere trattati egualmente. Sembrerebbe un’utopia… ed effettivamente lo è.

Perché ciò non si realizza? Oltre ai pregiudizi e gli stereotipi che, seppur in forma minore, aleggiano ancora nella nostra società, bisogna soffermarsi sulla parola “sensibilizzazione”. Questo termine nel corso degli ultimi anni è stato associato soprattutto al cosiddetto “politically correct”. Chi mette in pratica il “politicamente corretto” rifiuta l’utilizzo di determinati termini che possano risultare offensivi nei confronti delle minoranze. Si cambiano le parole, si “lotta” affinché ognuno possa sentirsi a proprio agio senza dover mettere in evidenza la razza, il colore della pelle, il genere. Si può quindi dedurre che l’idea iniziale sia più che corretta, ma come ogni cosa umana si giunge purtroppo all’esagerazione per terminare nella degenerazione.

Una parabola perfettamente descritta dai movimenti del Black Lives Matter, che combattendo per i diritti degli afroamericani, sono finiti (non tutti ovviamente) a buttare giù statue di colonialisti e schiavisti. Sorgono ovviamente diverse domande: l’abbattimento di statue permette di dimenticare ciò che è avvenuto in passato? È meglio aggirare il problema, piuttosto che risolverlo? L’opinione pubblica si divide e sorgono ulteriori faide. Di esempi ce ne sono molti anche nel mondo del cinema, dove gli attori si trovano a dover chiedere scusa perché hanno interpretato personaggi deformi, sordi, omosessuali. Film degli anni passati (non si può non pensare a Via col Vento) vengono rimossi dai cataloghi, interi episodi di serie TV sono censurati. Tutto questo trambusto per evitare contenuti potenzialmente “offensivi”. Si può definire ciò un passo verso l’integrazione?

Una scena dal film “Django Unchained” di Quentin Tarantino, criticato per l’ampio uso di “slur” razzisti

I pareri sono molti e per lo più contrastanti, ma è evidente come la censura oltre ad essere qualcosa di carattere fortemente dittatoriale va a distruggere quella diversità che da sempre contraddistingue l’uomo. L’omologazione non può essere la risposta alle disuguaglianze, al razzismo e alle discriminazioni. La sensibilizzazione che molti vorrebbero attuare non può consistere solo nel raccontare la fiaba al bambino in cui alla fine “tutti vissero felici e contenti”. Bisogna chiedersi perché permangono ancora alcuni stereotipi nella nostra società “ultra-evoluta”; prendersela ad esempio con Quentin Tarantino che utilizza la parola “negro” nei suoi film (in contesti più che “consoni”) è banale e non risolve un bel niente. Si corre anzi il rischio di far rimanere nella propria ideologia le persone ignoranti e bigotte, a causa della frattura e dell’odio che viene a crearsi tra le due parti.

L’ambiente scolastico deve quindi essere il giusto compromesso, perché è qui che si formano coloro che andranno a formare la società del futuro. Non bastano le conferenze in cui vari personaggi, dopo aver ampiamente trattato del proprio curriculum, dicono “ragazzi, il razzismo e la discriminazione sono piaghe della nostra società”. Bisogna porre il tutto in maniera diversa: perché nel XXI secolo ci troviamo ancora a parlare di ciò? Da questa domanda deve partire un’intensa riflessione che coinvolga tutti e non ci faccia cadere nella bassezza di dare la colpa ad un film o ad una serie tv, ma ci permetta di affrontare il problema direttamente attraverso le testimonianze, i fatti storici e l’attualità (sempre più dimenticata nel nostro sistema scolastico). Nella speranza che in un futuro (speriamo prossimo) si possa parlare di una società realmente “integrata”.

Federico Di Lello