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Stéphanie Frappart: la prima donna ad arbitrare in Champions

“Le donne non capiscono niente di calcio”. Una frase, o meglio, un pregiudizio, con il quale hanno dovuto e devono fare i conti le ragazze che si avvicinano al gioco più praticato al mondo.

Se le vittorie della Nazionale azzurra femminile hanno ridotto le distanze con il grande pubblico, molto resta ancora da fare quando si parla di fischietti rosa. Gli arbitri donna in Italia sono ancora una ristretta minoranza, ma non mancano le storie emblematiche che possono fare sognare ad occhi aperti le tante appassionate di calcio. Per questo assume un valore ancora più grande la partita di Champions League diretta dalla francese Stéphanie Frappart all’Allianz Stadium di Torino il 2 dicembre 2020, che ha visto opposte Juventus e Dinamo-Kiev.

Nata a Val-d’Oise 37 anni fa, dal 2019 arbitro internazionale, Stéphanie è già nella storia: mai una partita del più importante torneo continentale per squadre di club era stata arbitrata da una donna. Fece il suo esordio a 28 anni nel Championnat National, la terza divisione Francese. La sua carriera proseguì con il passaggio in Ligue 2 nel 2014, diventando la prima donna ad arbitrare nella seconda categoria transalpina. Tra le sue direzioni di gara per la categoria femminile vanno citati due importanti partite nel Mondiale 2015 in Canada, due gare nei Giochi Olimpici di Rio 2016 e ben 13 gare nella Women’s Champions League. Ma l’ascesa della Frappart non si ferma qui: infatti ad aprile 2019 ebbe l’onore di dirigere la gara di Ligue 1 dove si sfidavano SC Amiens e RC Strasbourg, per poi essere inserita a titolo permanente tra gli arbitri del campionato della stagione successiva. Il crescendo continua con la designazione per la finale di Supercoppa UEFA tra Chelsea e Liverpool nel 2019. «Sono molto felice» aveva dichiarato in un’intervista prima dell’incontro, « per me è stata davvero una sorpresa, non mi aspettavo di poter dirigere la supercoppa europea, è un grande onore. Spero che il mio esempio serva per tutti gli arbitri donna e per tutte le ragazze che aspirano a fare questo lavoro». In aggiunta, ha accennato alla sua carriera: «La mia vita è cambiata e ora sono più popolare nel mondo. Ho già debuttato in Ligue 1, quindi conosco le mie emozioni e so anche come gestirle: mi sono allenata anche per questo». La sua dichiarazione è un’iniezione di fiducia per tutte coloro che vogliono superare i pregiudizi e affermarsi nella vita. Un altro passo significativo per la direttrice di gara fu l’esordio nei gironi di UEFA Europa League: il 22 ottobre 2020 arbitrò la gara tra gli inglesi del Leicester City e gli ucraini dello Zorya.

Oltre a questa lunga serie di record dal valore storico e simbolico, ha spesso ricevuto attestati di stima dagli allenatori più famosi, primo fra tutti il tecnico del Liverpool Jurgen Klopp. Grazie alle sue prestazioni più che all’altezza del compito non è passata inosservata neanche per Roberto Rossetti: «Stéphanie Frappart è uno degli arbitri più bravi al mondo», ha detto mesi fa il designatore italiano della UEFA, ribadendo che la scelta non fosse una mossa per assecondare il politically correct, bensì una lode al merito della sportiva.

La Frappart colpì particolarmente anche i telecronisti con il suo atteggiamento deciso e autorevole: «Parla poco ma si fa ascoltare: le bastano dieci minuti per prendere in mano l’incontro», queste le parole di chi ha commentato l’incontro tra Juventus e Dinamo-Kiev.

Il rispetto reciproco che hanno dimostrato i giocatori e la direttrice di gara è notevole: «Mai viste così poche proteste» secondo gli speaker, definita appunto «essenziale e letale». «Noi sappiamo che è molto brava», aveva detto qualche minuto prima Fabio Paratici, capo dell’area tecnica juventina, seguito dalla dichiarazione di Pirlo, della medesima opinione in quanto «interpreta il ruolo senza strafare». In passato però non sono mancati commenti negativi o insulti sulle donne in ambito calcistico, come si è verificato qualche anno fa con un telecronista che irrise la guardalinee: «uno schifo vederla» fu l’affermazione deplorevole che, giustamente, generò un vero e proprio scandalo.

In conclusione, talvolta si tende inevitabilmente a replicare degli stereotipi quando in realtà ciò che conta sono le abilità e il merito individuale. Pertanto un’evoluzione nel pensiero collettivo è necessaria.

 

Di Alice Scala, 4^BL