Come funzionano gli anestetici?

La storia dell’uomo ha visto vari tentativi di alleviare il dolore per la necessità di ridurre la sofferenza fisica: già nel 3000 a.C. in Mesopotamia si “narcotizzava” il paziente comprimendo la carotide per fargli perdere coscienza. Gli Egizi utilizzavano la neve per desensibilizzare e ridurre la circolazione sanguigna. Nel mondo romano Plinio il Vecchio attribuiva proprietà sedative alla mandragora. Con il passare dei secoli e lo svilupparsi di conoscenze erboristiche, si cominciò a desensibilizzare i pazienti servendosi delle più varie sostanze (tra le quali hashish, oppio e alcool). Ci sono arrivate ricette di sostanze desensibilizzanti risalenti al nono secolo da Montecassino, del tredicesimo secolo da Bologna e del quindicesimo secolo dal ricettario di Caterina Sforza.

Il padre dell’anestesiologia moderna è tuttavia considerato il Dott. William Morton, un dentista di Boston che nel 1846 riuscì a rimuovere un tumore dal collo di un uomo al quale aveva somministrato dell’etere senza che sentisse alcun dolore. Da allora, la medicina ha cercato di determinare cosa esattamente determina lo stato di incoscienza che oggi definiamo anestesia.

Per molto tempo si è pensato che gli anestetici agissero sciogliendosi nelle guaine lipidiche che isolano i nervi. Si teorizzava che in questo modo essi interferissero con i segnali elettrici trasmessi lungo i nervi, depotenziandoli. Questa teoria era supportata dal fatto che gli anestetici sono solubili nei grassi e la loro efficacia è in rapporto a tale solubilità. Questa ipotesi fu accantonata quando negli anni Ottanta si scoprì che la riduzione dei segnali elettrici era troppo limitata per giustificare i risultati indotti dalla somministrazione degli anestetici.

Nello stesso periodo una nuova ipotesi stava diffondendosi nella comunità scientifica. Quella che gli anestetici agissero combinandosi con alcune proteine nel sistema nervoso centrale in modo da rallentarne l’attività. Negli anni successivi la ricerca ha cercato di identificare le proteine responsabili del processo. Recentemente il Dott. Roderic Eckenhoff, un anestesiologo dell’Università della Pennsylvania, pur non avendo individuato le specifiche proteine, ha scoperto alcune loro caratteristiche importanti che sembrano chiarire il loro ruolo nell’anestesia.

Le proteine hanno la forma di lunghe catene che sono normalmente piegate in forme globulari tenute insieme da deboli legami chimici. Considerando che la forma di ogni proteina è critica per la sua funzione, il Dott. Eckenhoff ha determinato che le sostanze anestetizzanti agiscono modificando temporaneamente la morfologia delle proteine in misura tale da non permettere che esse svolgano la loro funzione. Ma quali sono le proteine in questione? Anche se il dibattito è ancora aperto, pare probabile che si tratti delle proteine ospitate dalle sinapsi, i punti di contatto tra le cellule nervose dove i neurotrasmettitori permettono il trasporto dei segnali da una cellula all’altra.

Ottavia Cavazza – III H