• Home
  • Blog
  • Articoli
  • La mia vittoria al Premio “Fabrizia di Lorenzo”. La scuola può aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace?

La mia vittoria al Premio “Fabrizia di Lorenzo”. La scuola può aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace?

“Prevenire ogni forma di prevaricazione e di violenza nei confronti dei soggetti deboli è possibile attraverso lo sviluppo dell’empatia e la promozione di comportamenti tesi al riconoscimento dell’altro come risorsa. La scuola può aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace e della non violenza per prevenire soprattutto quei fenomeni dilaganti che, attraverso un uso scorretto della rete da parte di singoli o di gruppi, tendono a colpire i più vulnerabili”.

Come riportano anche i vocabolari di lingua italiana, la violenza è quella forma di intimidazione, quella azione crudele, aggressiva, prepotente, esercitata volontariamente da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire secondo la sua volontà. Tuttavia, esistono varie forme di violenza, o di prevaricazione, che un individuo può mettere in atto su un suo simile, come la  violenza privata, la violenza sessuale, la violenza fisica; ma, quella che secondo me è la più tremenda, cattiva, sottile e atroce, è la violenza psicologica, ovvero quella violenza che non è visibile, il più delle volte, ma che porta gli individui che la subiscono a soffrire, a farli sentire delle nullità, a minare la loro autostima, che forse- il più delle volte- è già bassa, e il loro senso di identità, facendo sentire chi ne è vittima impotente e senza via di uscita.

Infatti, nonostante ancora oggi molte persone non lo capiscano, anche le parole hanno un loro peso. Esse, difatti, seppure non lascino un segno esternamente visibile su chi ne è vittima, agiscono nell’interiorità della persona, annullandola in tutto e per tutto. Vittime di questi soprusi sono quindi i più deboli, ovvero quei soggetti che si accontentano di tutto ciò che li circonda, non facendo niente per migliorarsi, pensando che, in fondo,  meritano tutto quello che sta loro succedendo e che è solo colpa loro. Dunque, martiri di queste ingiustizie, di questi abusi, sono principalmente i soggetti più vulnerabili, in quanto facili oggetti di intimidazione, di  prevaricazione e di angherie da parte dei più forti; che poi “più forti” per modo di dire, perché in realtà, come hanno dimostrato e continuano a dimostrare numerose ricerche ancora oggi, sono proprio loro, ovvero i cosiddetti bulli, teppisti, ad avere dei problemi.

     Questa forma di prevaricazione, attuata da alcuni esseri umani nei confronti dei propri simili, può verificarsi in contesti sociali vari e differenti, come in ambito lavorativo (mobbing), in ambito sociale (discriminazione sessuale, religiosa, razziale), in ambito domestico, in ambito scolastico e adolescenziale (bullismo). Tuttavia, essendo io una studentessa, ed essendomi stata data l’opportunità di affrontare il tema dell’integrazione, che era molto a cuore a Fabrizia di Lorenzo, ragazza sulmonese privata troppo precocemente della propria vita, mentre era intenta ad acquistare gli ultimi regali di Natale per i propri amici e famigliari, e, il cui unico errore è stato forse quello di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, cercherò, anche in suo ricordo e in suo onore, di esporlo, e di analizzare i modi in cui i vari istituti scolastici possano aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace e della non  violenza, per prevenire quei fenomeni dilaganti che, attraverso un uso scorretto della rete da parte di singoli o di gruppi, tendono a colpire le categorie più vulnerabili. Comunque, prima di soffermarmi sui progetti e sulle proposte che le singole scuole, a parer mio, potrebbero mettere in atto per prevenire questi spiacevoli episodi, poiché come afferma una massima popolare “Prevenire è meglio che curare”, ritengo doveroso analizzare, aiutandomi con quanto appreso durante il mio ciclo di studi ancora in itinere, da un punto di vista psicologico, ciò che ha portato, e che comunque continua a portare, numerosi adolescenti a scegliere la via del bullismo e non quella dell’integrazione e del riconoscimento dell’altro come una risorsa. A tal proposito, ritengo che una prima forma di discriminazione sociale si possa ritrovare nel fatto che, come ha sottolineato il sociologo Ulrich Beck, viviamo in una società in cui spetta sempre più al singolo decidere come agire per gestire le varie fonti di rischio sociale, e ciò provoca una parcellizzazione del rischio e dei conseguenti modi per proteggersi. Quindi, vivendo in una società nella quale ognuno pensa ai propri interessi e non si presta più attenzione ai bisogni e al benessere dei propri simili, in quanto l’unico interesse è l’io, dunque, vivendo in una società dove tutto è incentrato sul self e non vi è più il binomio io-tu, si spiega da dove nasca questa discriminazione.

 “Homo homini lupus”, letteralmente “L’uomo è un lupo per l’uomo”, affermò molti secoli fa Hobbes, una frase che all’apparenza potrebbe sembrare iperbolica e irreale, ma che in realtà, a mio parere, riflette perfettamente la società contemporanea, poiché, come detto poc’anzi, oggi non vi è più attenzione per il prossimo, e, pur di raggiungere i propri obiettivi, i propri scopi, si è disposti a tutto. Di conseguenza, secondo il mio parere, la chiave di lettura per riuscire a comprendere quale sia il motivo che porta determinati individui ad attuare dei comportamenti del tutto irrispettosi, egoisti e meschini nei confronti dei propri simili risiede nella paura. Paura di essere esclusi da un determinato gruppo di amicizie, paura di essere ritenuti deboli, e di essere scherniti e derisi dai propri coetanei, paura di non essere all’altezza delle aspettative altrui. Sono queste alcune delle motivazioni che secondo me spingono alcuni individui ad intraprendere la via della violenza e a godere nel torturare gli altri, pur di sentirsi potenti e invincibili. Quindi, tornano al nocciolo della questione, che riguarda come la scuola possa aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace e della non violenza: ritengo che bisognerebbe innanzitutto avere a disposizione un corpo docente o comunque un organico in grado di fronteggiare le eventuali problematiche che potrebbero sorgere all’interno delle singole classi, promuovendo fin dal primo giorno di scuola, qualunque essa sia e di qualsiasi grado sia, l’integrazione dei singoli nel gruppo classe, cercando di non alimentare le differenze che vi possono essere tra i singoli, ma, in un certo senso, di sfruttarle a proprio vantaggio, portando gli studenti e le studentesse a comprendere che il mondo è bello proprio perché è vario, e che la diversità non è un qualcosa di negativo, ma al contrario è il motore dal quale nascono tutte le cose belle che esistono.

Quindi, poiché i giovani, dal momento stesso in cui nascono, come sottolineò lo psicologo Albert Bandura, prendono come punto di riferimento gli adulti, ovvero quegli individui che, per definizione, hanno raggiunto la piena maturità fisica e psichica, e tendono a riprodurne i comportamenti e i modi di porsi con i propri simili, ritengo che, per prevenire questi fenomeni dilaganti e promuovere un clima di integrazione e di uguaglianza all’interno del gruppo classe, bisognerebbe innanzitutto formare gli educatori, affinché questi ultimi siano in grado di gestire le eventuali problematiche in maniera risoluta ed efficace. Infatti, mentre nell’antichità, un maestro, per essere considerato tale, aveva come unico onere quello di conoscere ciò che doveva insegnare ai propri allievi, oggi, a parer mio, vivendo in una società post-moderna, caratterizzata dalla globalizzazione, dall’immigrazione e dal rischio che ne consegue, un educatore non deve soltanto conoscere la materia da insegnare, ma deve anche e soprattutto essere in grado di comprendere i soggetti con i quali si trova ad interagire, per promuovere un clima di benessere e di inclusione. Inoltre, compito del docente dovrebbe essere altresì quello di far emergere da ogni studente e studentessa le proprie capacità, rendendoli consapevoli non solo dei propri punti di forza, ma anche dei propri limiti, e, facendo capire loro che questi ultimi non sono dei difetti, ma, al contrario, sono qualcosa che li rende unici e irripetibili. Oltretutto, come già molti insegnanti sono soliti fare, ritengo che, per aiutare i giovani a vedere il prossimo come una risorsa, e non come qualcosa da deridere e schernire, sarebbe utile promuovere maggiori attività di gruppo, favorendo la cooperazione, la collaborazione e l’intesa.

Comunque, per debellare queste manifestazioni di violenza e di esclusione, bisognerebbe aiutare i giovani a comprendere che, nonostante le varie diversità che caratterizzano ognuno di noi, perché in fondo siamo tutti diversi, per via del colore della pelle, del credo che professiamo, della lingua che parliamo, dell’aspetto esteriore, e così via, siamo tutti uguali: abbiamo tutti lo stesso valore e la stessa importanza. Quindi  i vari istituti dovrebbero promuovere delle iniziative tese al riconoscimento del prossimo come una fonte di arricchimento e un’occasione di crescita personale e collettiva, favorendo lo sviluppo dell’empatia, ovvero di quella particolare capacità di immedesimarsi nei “panni” dell’altro, fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Dunque, ritengo che la scuola, per aiutare i giovani nella costruzione di una cultura della pace e della non violenza e, per prevenire soprattutto quei fenomeni dilaganti che, attraverso un uso scorretto della rete da parte di singoli o di gruppi, tendono a colpire i più vulnerabili, dovrebbe in primis comprendere che gli adulti, e, nel caso specifico della scuola gli insegnanti, giocano un ruolo fondamentale nella crescita dei ragazzi, in quanto costituiscono un modello di riferimento e il tramite attraverso il quale i giovani interagiscono e si rapportano con ciò che li circonda. Quindi, secondo la mia umile opinione da studentessa, che ha ancora davanti a sé molto da apprendere, bisognerebbe forse attuare una selezione del corpo docente, scegliendo quegli insegnanti che abbiano non solo competenze specifiche sulla materia che insegnano, ma anche la capacità di tirar fuori da ciascun alunno, a prescindere dall’aspetto fisico, culturale, sociale ed economico, la parte migliore. Solo così riusciremo a creare una società attenta ai bisogni dell’altro ed inclusiva.

Studentessa Centofanti Marialetizia

Classe V sez. C Indirizzo di Scienze Umane – Liceo “Gonzaga” di Chieti