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Dante e le scienze inesatte – un rapporto di immedesimazione tra Dante e Rossetti

Foto di Gabriele Di Giacomo

Alla ricorrenza dei 700 anni dalla morte del poeta fiorentino, il Festival della Scienza Ad/Ventura
apre al progetto “Piazza Dante”, ideato per celebrare Dante Alighieri e la ricchezza della sua eredità letteraria, e sostenuto dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dantesche.

Il convegno di martedì 26 gennaio, dal titolo “Dante e le scienze” è stato organizzato dalle professoresse Mariella Di Brigida e Marilena Pasquini, docenti di lettere presso il Polo Liceale “Mattioli”, che sono intervenute accanto al professor Gianni Oliva, ex docente ordinario presso la facoltà di Lettere dell’università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, uno tra i più autorevoli esperti di Dante in Italia e direttore del Centro Europeo di studi rossettiani di Vasto.

L’opposizione tra scienza e fede che spesso si identifica nelle opere dantesche è solo un preconcetto, smentito da scritti come il Convivio, di stampo eminemente divulgativo. Non a caso vi è l’utilizzo della lingua volgare, di più facile comprensione rispetto al latino, atta a consegnare sapienza ai lettori piu’ sensibili. Da qui deriva l’idea di convivio, ovvero di “banchetto”, come condivisione del sapere, che va “consumato” insieme ad altri.

Le conoscenze scientifiche rintracciabili in Dante sono frutto dei suoi puntuali studi in campi quali l’astronomia e la matematica, attraverso i quali Dio si manifesta all’uomo. Pensiamo ad esempio alla teoria tolemaica riprodotta nella Divina Commedia, o alla consapevolezza che la realtà sia costituita da numeri, idea pitagorica. Questa scienza si può chiamare “rivelata”, in quanto l’Universo è epifania di Dio.

La scissione tra poesia e scienza avvenne con l’avvento del Razionalismo, quando non fu
più sufficiente rivelare la verità tramite il solo intelletto, ma si affermò la necessità della
verifica sperimentale di tipo galileiano. Il poeta toscano riconcilia i due opposti nell’idea di
“infinito”, per Dante coincidente con l’idea di Dio, ed esistente nella matematica come valore
numerico.

La scissione tra poesia e scienza è avvenuta con l’avvento del razionalismo, quando non è stato più sufficiente rivelare la verità tramite il solo intelletto, ma si è affermata la necessità della verifica sperimentale di tipo galileano. Il poeta toscano riconcilia i due opposti nell’idea di “infinito”, per Dante coincidente con l’idea di Dio, ed esistente nella matematica come valore numerico.

Foto di Francesca Fecondo

Come poi non ricordare i canti XX e XXVI dell’Inferno, in cui a subire la legge del contrappasso sono uomini sapienti. Nel primo, maghi e indovini sono condannati a camminare a ritroso con la testa rivolta al contrario, come in una eterna processione, per aver cercato di pronosticare il futuro che solo Dio, invece, può conoscere. L’altro è il canto di Ulisse, l’eroe omerico, che giunge al monte del Purgatorio al termine di una navigazione oltre le colonne d’Ercole, il limite del mondo conosciuto. La sete di conoscenza di Ulisse lo porta a morire in una tempesta, e ad essere in eterno avvolto da una lingua di fuoco per aver ingannato con la sua oratoria persuasiva molti uomini, tra cui i troiani. Questi due episodi ci parlano di un altro aspetto della scienza per Dante: il limite, il pericolo che si corre oltrepassandolo e la cautela da mantenere avvicinandovisi, concetti tipicamente legati alla mentalità medievale.

Altro oggetto di discussione del convegno è stato ciò che il poeta, critico e patriota Gabriele Rossetti ha messo in luce di Dante mediante i suoi studi, iniziati forse già a Vasto. Recatosi a Napoli per completare gli studi, si avvalse del ricco fondo librario della Reale Biblioteca Borbonica per consolidare le sue conoscenze letterarie. In seguito alla sua partecipazione ai moti liberali del 1820, fu costretto all’esilio dapprima presso l’isola di Malta, per poi rifugiarsi quattro anni dopo a Londra. E’ difficile ricostruire con esattezza l’evolversi delle sue teorie attraverso queste mete, ma possiamo individuare tramite gli scritti e i carteggi di Rossetti un cambiamento radicale nella sua interpretazione di Dante. Se in un primo momento vedeva nelle opere dei Fedeli d’Amore, di cui Dante faceva parte, l’intenzione di una riforma radicale della Chiesa e il sostegno all’ideologia ghibellina, affiorò più tardi il sospetto di una lettura radicalmente diversa, che non attribuirebbe ai simboli danteschi un significato politico, bensì esoterico. Le allegorie diventerebbero così un codice, contenente i valori filosofici dell’esoterismo nato con i misteri greci, eleusini e pitagorici, riemersi in epoche diverse, attraverso il Medioevo fino alla nascita della massoneria moderna. Rossetti, rimanendo cristiano, pur non praticante, si spaventò di questa tesi, finendo per persuadersi che il fine ultimo della massoneria fosse l’ateismo.

Questa interpretazione esoterica del Vate non è oggi la più accreditata, ma fu riportata, commentata e approfondita  da molti critici e poeti, quale ad esempio Pascoli.

Cosa ci ha lasciato Dante? Forse meno di quanto alcuni arrivino a pensare, o forse più di quanto siamo ancora riusciti a capire. Nelle sue opere troviamo unione tra scienza e spiritualità, politica e fede, impero e chiesa, contrapposizioni di una mente eclettica destinata a essere per noi maestra ancora per molti secoli.

Luca Prospero