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Dante e le scienze inesatte – Il rapporto tra Dante e il Dante del XIX secolo

In seguito al convegno inaugurale di Piazza Dante, tenutosi nella giornata del 26 gennaio, dal titolo Dante e le scienze, abbiamo incontrato le professoresse Mariella Di Brigida e Marilena Pasquini e colto l’occasione per approfondire alcuni aspetti delle figure di Dante e Gabriele Rossetti.

Da come si è evinto dal convegno incentrato su Dante e il nostro concittadino Gabriele Rossetti, sappiamo che i due ebbero diversi punti in comune, tra cui l’esilio. E’ possibile che queste corrispondenze nelle loro vite siano state il moto che spinse Rossetti a studiare la figura dantesca? Secondo voi, Rossetti si è sentito, in minima parte, un Dante del diciannovesimo secolo?

Foto di Mariasole Desideri

Sicuramente Rossetti si è sentito un Dante del diciannovesimo secolo, e sono numerose le opere, ma soprattutto i versi e le poesie, in cui Rossetti riflette questa persuasione di essere un “exulo immeritus”, quindi di non aver meritato l’esilio: infatti, egli sperò fino alla fine di poter tornare in Italia. Possiamo dire che proietta esattamente la propria vita su quella dantesca. Non credo che la sua vicenda l’abbia spinto maggiormente a studiare Dante, perché Rossetti iniziò ad informarsi sulla sua figura già da Vasto. Tuttavia, sicuramente lo spinse ad appassionarsi ancora di più per un senso di immedesimazione. Del resto, questo discorso è comprovato, ed è stato motivo di molteplici studi, anche da parte di Pompeo Giannantonio, docente dell’università di Napoli, che ha sviluppato numerosi articoli in merito a questo concetto di immedesimazione di Rossetti con Dante.

Non abbiamo certezze sulle motivazioni che spinsero il nostro concittadino ad appassionarti al poeta fiorentino. Vasto era un borgo di pescatori e artigiani, con pochi notabili. La maggior parte di queste persone era chiusa nel loro tenore di vita privilegiato. Alcuni di essi, una parte molto esigua, si dedicava nella divulgazione di questa cultura. Siccome Gabriele Rossetti aveva mostrato un intelletto precoce, Benedetto Maria Betti, un aristocratico che disponeva di un’enorme biblioteca, ricca sia di testi classici che scientifici (una rarità per l’epoca), aveva preso a benvolere Rossetti e l’aveva istruito, permettendogli di consultare liberamente la biblioteca.

Secondo Teodorico Pietrocola Rossetti, nipote e studioso del poeta vastese, fu proprio Betti che fece comprendere al giovane Gabriele una significazione esoterica della Divina Commedia. Perché poi Napoli fu così sostanziale nello sviluppo degli studi danteschi? Proprio grazie ai fondi della Biblioteca Nazionale, dove sappiamo per certo che scoprì tutti i codici del Vate.

In quel periodo egli frequentava anche ambienti massoni che, al di là della loggia, comunque davano opportunità ai membri di partecipare ad una grande circolazione di idee; è per questo che la massoneria è stata reputata da alcuni una scuola di pensiero liberale.

Anche a Malta esistevano queste forme di associazione, basti pensare agli ordini cavallereschi, e anche qui Rossetti ebbe modo di poter far parte di questo scambio illuminato di idee. In questo frangente, egli fece la conoscenza di Sir John Frere, ammiraglio in pensione, che fu il primo a consigliargli di andare a Londra, perché secondo lui non sarebbe mai potuto tornare a Napoli. Frere era un massone, e sicuramente questa interlocuzione fomentò ancora di più le idee che già Rossetti aveva da Napoli.

Stando a quanto viene detto nei carteggi, Rossetti ebbe l’illuminazione a Londra, anche se sappiamo che non è così perché lì iniziò già a scrivere un commento analitico della Divina Commedia in cui propone una nuova interpretazione della stessa.

Gabriele Rossetti, durante il suo “soggiorno forzato” nell’isola di Malta, impiegò gran parte del suo tempo negli studi danteschi, già iniziati in terra vastese e poi napoletana, ma sviluppati nell’isola straniera e infine conclusi a Londra. Nonostante il suo esilio fosse frutto dell’opposizione politica al governo di allora, che la sua sia una precursore della fuga di cervelli che sta caratterizzando i nostri tempi? Anche il neonato Stato d’Italia faticava nel far rimanere in patria le grandi menti, e nel promuovere queste scienze umane così poco considerate?

La sua non la definirei una fuga di cervelli, il suo esilio fu esclusivamente per ragioni politiche. Nel nostro secolo, spesso, questa fuga di cervelli è dovuta principalmente a problematiche legate alla ricerca, all’impossibilità di mezzi, al desiderio di trovare una strada che si apra, in un contesto in cui le grandi menti sono sacrificate, perché non si investe nella ricerca, e perché gli sbocchi lavorativi sono contratti. Oggi, inoltre, questo è dovuto anche a ragioni politiche; i governi biechi e poco lungimiranti non investono su questo punto di vista.

Nel caso di Gabriele Rossetti, non si tratta di un mancato riconoscimento del suo talento artistico. Bisogna considerare che a Napoli ebbe un grandissimo successo e aveva tutto il supporto e il sostegno del Re in un primo momento; fu lui stesso a fuggire per una scelta personale. Diciamo anche che la grande ondata di esuli si ebbe a partire dal 1848; quindi lui fu sì un precursore, ma prima di lui a Londra ci fu Foscolo, insieme a tanti altri intellettuali italiani che cercavano una patria ideale nella capitale britannica, una città-faro nel 1800. L’Inghilterra liberale che attira grandi personalità e grandi intellettuali. E’ anche da considerare che in Europa in quel periodo si stava dibattendo su quale fosse il futuro delle Monarchie.

La conoscenza enciclopedica dantesca è frutto del suo amore per le scienze e la ricerca. Tuttavia, siamo al corrente anche del suo dualismo interiore tra ghibellinismo e religiosità, messo in luce da Foscolo. Com’è possibile conciliare questi due aspetti, e come Dante riesce a raggiungere queste competenze pur rispettando i limiti imposti da Dio?

Diciamo che per noi questa è una costrizione, nella nostra mentalità le due cose non si conciliano, per noi fede e scienza sono apparentemente insanabili. Per Dante non è così. Dante è perfettamente medioevale, in lui il conflitto tra fede e scienza si risolve con il ritorno al Creatore, in un dualismo che porta sempre a Dio. Non c’è in lui una forzatura logica, né un impasse affettivo da superare. Come disse il professor Oliva durante il convegno, l’uomo tende naturalmente verso Dio, e non c’è ostacolo in esso; così come l’acqua tende naturalmente, per forza di gravità, verso il basso, e il fuoco verso l’alto. E’ un concetto ripreso numerose volte nei canti della Divina Commedia.

Foto di Mariasole Desideri

La risposta è nel terzo libro della Monarchia. I primi due libri sono dedicati al potere spirituale e al potere temporale, mentre l’ultimo parla della teoria dei due soli; non c’è oscurantismo, le due entità coesistono. Non c’è uno che oscura l’altro, né uno che brilla più dell’altro. Qual è il punto di demarcazione, secondo Dante? L’uno dei due soli brilla per cercare di migliorare la condizione degli uomini nella vita terrena, l’altro sole brilla, invece, per cercare di illuminare il più possibile la via che porta al Creatore. Ognuno si occupa del proprio ambito di pertinenza, per contribuire al benessere degli uomini sulla Terra e nell’aldilà.

Secondo Rossetti, carbonaro e massone, Dante apparteneva a una setta segreta detta dei Fedeli d’Amore, il cui fine era una riforma radicale della Chiesa in senso ghibellino e antipapale; concetto inizialmente decaduto con la morte del letterato Vastese ma poi ripreso da autori illustri come Pascoli. Per voi, Rossetti ha mai pensato che il suo voler andare oltre questo “fiume carsico” di parole fosse semplicemente una forzatura del pensiero del poeta fiorentino? E’ possibile che l’autore ottocentesco abbia cavalcato l’onda dell’alone di mistero che avvolge Dante, in particolare riguardo il suo esoterismo, per far parlare di sé, e non per divulgare la bontà delle sue tesi?

Non credo che Rossetti abbia intenzionalmente fomentato quest’alone di mistero dell’idea dell’esoterismo dantesco per avere successo; (purtroppo) lui ci ha creduto davvero, era fermamente convinto del fatto che ci fosse un linguaggio doppio. In fin dei conti, tutto ciò che c’è di misterioso affascina.

Effettivamente questo linguaggio doppio c’è: studiando il medioevo ora con dei criteri filologici sappiamo che il testo di Dante è ricco di almeno quattro sensi della scrittura: letterale, morale, allegorico e anagogico. Rossetti era convinto del fatto che ci fosse un codice da decriptare, e che Dante, pur dicendosi un cristiano cattolico, fosse in realtà antipapale e sostenitore del ghibellinismo.

Ad un certo punto, però, quest’idea si trasforma, perché inizia a credere che ci sia sì una significazione nascosta, ma che questa fosse l’appartenenza di Dante a una setta che corrisponde alla massoneria a lui contemporanea; secondo lui, il Vate era talmente coinvolto in queste sette esoteriche da essere addirittura promotore dell’ateismo, ed è qui che si scandalizza.

Egli arrivò a queste conclusioni grazie ai suoi studi, che non furono certamente vani. In Dante, ad ogni modo, troviamo delle manifestazioni di una cultura alternativa, colte successivamente da Pascoli, Valli, Ricolfi, i quali hanno notato che nelle sue opere sono presenti dei riferimenti a testi arabi, e talvolta anche eretici, quindi non solo opere riferite alla filosofia ufficiale del suo tempo.

Queste filologi non sono stati davvero compresi, e talvolta anche criticati; basti pensare che Carducci, maestro di Pascoli, fece finta che egli non scrisse nulla quando venne pubblicata la Minerva oscura, la costruzione morale del poema di Dante. Essi andarono oltre, e Rossetti in questo fu visionario.

Mariasole Desideri