Dott.ssa Iolanda Russo: perseguire le proprie passioni

Nel primo pomeriggio del 29 gennaio, attraverso i meandri del caos siamo giunti alla medicina anestetizzante, grazie al prezioso intervento della Dott.ssa Iolanda Russo-Menna. Dopo la conferenza “Chaos in Anesthesia and in Medical Science” abbiamo avuto il piacere di porle alcune domande.

Sono possibili dei risvegli non programmati durante un’operazione?

Sono molto rari, ma possibili. Sono più rari del risveglio sotto l’anestesia generale che, viene solitamente indotta per mezzo di gas, oppioidi o rilassanti muscolari. Ciò può accadere se l’anestesista non ha somministrato abbastanza anestesia in relazione alla funzione di un determinato cervello. È, infatti, molto complicato dal momento che non si ha modo di monitorare il cervello stesso. Sono quindi eventi molto rari, ma possibili. Quello che succede molto più frequentemente è che talvolta i pazienti ricordano ciò che è successo durante l’intervento o nel momento in cui sono stati messi a dormire.

Esistono delle “anestesie alternative”? Sono presenti ricerche in questo ambito?

Oggi come oggi la scienza anestesiologica è una delle poche branche medico-chirurgiche che rimane la stessa a livello mondiale. Ciò che facciamo in America viene fatto a grandi linee anche in Europa e nel resto del mondo. Questo lo si deve alle affinità che vi sono tra i farmici e la fisionomia umana che non portano a grandi deviazioni. Le anestesie alternative più comuni sono quelle regionali, dove grazie alla tecnologia avanzata degli ultrasuoni siamo riuscita a bloccare nervi che innervano arti e parti del nostro corpo, in una maniera molto più mirata e dare delle sostanze locali ad una certa concentrazione che permettono un azione molto più prolungata dell’anestesia locale. Possiamo quindi affermare che l’anestesia locale ha veramente fatto passi da gigante negli ultimi 10-15 anni. L’anestesia generale, invece, comincia ad essere usata molto meno. È ancora impiegata in interventi molto significativi, mentre per interventi più superficiali si ricorre a piccole attività anestesiologiche. Per altre soluzioni, oltre a quelle già presenti, bisognerà aspettare i risultati delle ricerche di neuroscienziati ed ingegneri biomedici.

Come si fa a mantenere le funzioni vitali nei pazienti anestetizzati e quanti rischi pongono le soluzioni che si devono adottare?

L’anestesia è una delle scienze più complesse e a volte meno apprezzate dai pazienti e dai medici stessi. Spesso, purtroppo non si riesce a capire quanto sia delicata la messa in opera dell’anestesia per ogni paziente. Bisogna avere una profonda conoscenza della farmacologia, della biochimica, della fisica, dell’ingegneria e soprattutto della fisiologia e patologia umana. Molto importante è cercare di capire, attraverso gli studi di specializzazione, cosa è necessario fare per un paziente. I farmaci che usiamo sono potentissimi, perché hanno la capacità di bloccare le funzionalità più alte del cervello come la memoria, la comprensione e la riconoscenza del dolore. Non si vede, ma in alcune condizioni non si respira e bisogna quindi utilizzare il ventilatore meccanico.

L’aiuto più grande quindi ci viene dato dalla conoscenza farmacologica e da un feedback generato da monitor, posti sul paziente prima dell’inizio dell’anestesia. Si parla quindi dell’elettrocardiogramma, della pressione sistemica, dell’ossimetria o di mezzi più invasivi come il catetere urinario e una via arteriosa che ci raccontano ciò che succede. L’anestesista diffonde dei liquidi molto simili al pH umano insieme a farmaci provenienti da oppioidi, i gas e se necessario dai rilassanti muscolari, per far in modo che il paziente non si muova. Questo succede soprattutto nelle neurochirurgie e cardiochirurgie importanti e in interventi urologici e ginecologici di lunga durata.

Cosa l’ha portata a scegliere la sua strada? Che consiglio darebbe ai giovani che si trovano di fronte ad una scelta simile e che, in questo periodo di incertezze, temono di alimentare il loro caos interiore?

Si deve sempre cominciare dalla conoscenza di noi stessi che purtroppo avviene in tarda età. Conosciamo noi stessi quando cominciamo a metterci in gioco, però nel frattempo, soprattutto durante le scuole superiori e l’università dobbiamo metterci in gioco e capire che conoscere ciò che è stato già scoperto e ciò che ci insegnano a scuola è importante per cominciare a mettere i primi mattoni di una casa che sarà poi la nostra. Cosa consigliare ai giovani… Seguite la vostra passione, il vostro pensiero perché in fondo siamo noi che viviamo su questa terra e saremo noi che un giorno andremo via, cioè saremo noi che faremo i conti con noi stessi quindi fate qualcosa che vi piace, dedicatevi al massimo e credeteci. Dimenticate e mettete da parte tutti i concetti di raccomandazioni. Se necessario cambiate nazione e trovate un posto in cui potervi realizzare, perché la cosa importante è essere felici e capaci di fare bene a noi stessi e agli altri. Quindi seguite le vostre passioni, seguitele con intelligenza, date tutto voi stessi e soprattutto approfondite la conoscenza delle cose perché sapere è potere. Conoscere vi aiuterà a scegliere e a scegliere bene.

Marina D’Aulerio