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L’immunoterapia passiva del Covid-19 con il plasma iperimmune

Nella mattina del 29 gennaio 2021, gli studenti del Polo Liceale R. Mattioli di Vasto hanno partecipato ad un incontro, tenutosi online, con Il dottor Pasquale Colamartino, direttore del centro regionale sangue e servizio trasfusione territoriale della Asl Lanciano-Vasto-Chieti. L’argomento trattato è stato sull’immunoterapia passiva del Covid-19 con il plasma iperimmune. Rispondendo ad alcune domande, il dottore ha esposto in maniera molto chiara quelli che sono i vari aspetti fondamentali di questa terapia.

La terapia prevede l’utilizzo del plasma, ovvero la parte liquida del sangue dei guariti dall’infezione, per conferire ai malati gli anticorpi specifici. Tuttavia Colamartino tiene a precisare come, di questa terapia, così come di nessun’altra, non è ancora stata effettivamente dimostrata l’efficacia; è quindi ancora in fase sperimentale. È una terapia d’urgenza che, già sfruttata nel corso di altre pandemie, va messa in atto quando non sono ancora disponibili farmaci specifici per il trattamento antivirale.

Il nostro corpo si difende da organismi geneticamente diversi, come virus e batteri. Noi siamo in contatto con virus e batteri quotidianamente. Il problema si ha quando compare un virus completamente nuovo, poiché il sistema immunitario non ne ha memoria e di conseguenza reagisce con risposte aspecifiche, in attesa di decodificarne le caratteristiche genetiche.

Il virus entra nella cellula umana e lì inizia a replicarsi. Tutte le strategie che riguardano l’immunoterapia passiva sono volte all’utilizzo di anticorpi che riconoscono il virus e non gli permettono di entrare nella cellula.

Tuttavia non si è giunti subito ad un corretto uso del plasma iperimmune. Inizialmente veniva adoperato per i casi in stato già avanzato, ed è stato dimostrato che su questi non è poi così efficace. Per cui tale presidio va utilizzato nelle fasi più precoci della malattia (entro circa tre giorni dalla comparsa dei primi sintomi). Ulteriore aspetto importante è il titolo del plasma, che deve essere molto elevato.

Una delle possibili evoluzioni dell’immunoterapia passiva è avviare il plasma iperimmune alla produzione industriale, cioè isolare le immunoglobuline e dare origine a farmaci ad alta concentrazione (processo che già avviene per altre malattie).

Una seconda evoluzione potrebbe essere quella degli anticorpi monoclonali, prodotti in laboratorio attraverso un procedimento che prende il nome di ibridazione. Anche quest’ultima pratica bisogna essere messa in atto in fasi precoci della malattia.

Mentre nell’immunoterapia passiva la durata degli anticorpi che vengono somministrati nell’organismo è breve, il vaccino ha la funzione di conferire un’immunità duratura nel tempo.

Il vaccino agisce come la malattia, ovvero stimola la produzione di anticorpi specifici.

Di fondamentale importanza per l’immunoterapia è la donazione di plasma. Questa, afferma il dottore, dipende dal rapporto di fiducia che si instaura tra i donatori e le istituzioni di riferimento. Per questo la comunicazione gioca un ruolo importantissimo, perché un’errata trasmissione di notizie potrebbe creare sfiducia e quindi la mancanza di donatori.

Per fortuna la donazione di plasma è molto alta, ma non tutti hanno la possibilità di donarlo in quanto vi è una vera e propria selezione in vari step. Nel primo, che avviene per via telefonica, vengono chieste informazioni sullo stato di salute del donatore. Superato questo filtro vi è la seconda fase di selezione, presso un punto trasfusionale, che consiste nello svolgimento di visite mediche. L’ultimo aspetto da analizzare è il titolo, sufficiente o meno, degli anticorpi.

di Riccardo Vicoli