Il caos dentro e fuori con Guerino Taresco

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Guerino Taresco, docente di contrabbasso del Polo Liceale Mattioli, artista e musicista, che ha da poco inaugurato una mostra virtuale, dal titolo “Caos dentro e fuori” (qui per vederla), incentrata sul disordine apparente dell’arte, racchiuso nelle sue tele. Taresco ha anche realizzato la musica del video “Il caos: l’arte inconsapevole” (qui per vederlo), presentato durante il Festival della Scienza, creando un’atmosfera avvolgente e misteriosa.

Nella sua mostra virtuale “Caos dentro e fuori”, lo spettatore compie un viaggio tra colori, linee e forme, che a primo acchito sembrano abbinamenti casuali, disordinati, ma poi pian piano cominciano a prendere vita e a delinearsi. Cos’è per lei il caos e qual è l’importanza che ha sull’arte e sulla sua arte?

Foto di Giulia Orazietti

Il caos è qualcosa di sempre casuale, ma al tempo stesso è sempre ordinato. Per me il caos è un concetto di memoria. Ad esempio, se scatto una foto ad uno scaffale ordinato, poi sposto tutti i libri e scatto una seconda foto chiamandola caos, in realtà nella memoria è sempre ordinata, quindi caos e ordine si scambiano tra di loro. Dipingere per la mostra è stato molto naturale, perché ho riportato il tema del Festival della Scienza nel modo in cui dipingo i quadri. Io dipingo da pochissimo e non sono esperto, però la pittura mi fa impazzire e quindi studio le varie tecniche, i movimenti, i periodi artistici, però per questo tipo di lavoro, che si è affiancato all’art brut, sono stato il più istintivo e naturale possibile, perché in generale io sono una persona molto disordinata e il caos, che è un modo con cui le persone ordinate identificano quelle disordinate, mi rappresenta.

Sappiamo che per un artista il pubblico è fondamentale, quest’anno però, essendo la mostra virtuale, non c’è stato un contatto vero e proprio. L’anno scorso aveva allestito una personale proprio durante il Festival della Scienza e aveva avuto modo di interagire con molti visitatori. Questi incontri e le impressioni delle persone sono stati in qualche modo d’ispirazione o un motivo di riflessione per le nuove opere che ha realizzato?

Come in tutte le forme d’arte, a meno che non si parla di Mozart, o di Paganini, penso che anche nella pittura tutto si risolva con il contatto con gli altri. Un pittore dipinge davanti agli altri, fa le mostre e si mette in mostra, e questo perché ha bisogno di avere un contatto con le persone: durante la mostra dell’anno scorso, ho ascoltato le storie delle persone che venivano, il motivo per cui sono venute e quello che vedevano e interpretavano nei quadri. Io non sono un pittore figurativo, non ho le mani buone per dipingere figure, però quando dipingo istintivamente ricerco degli equilibri tra le forme e tra i colori e quindi è bello scoprire i titoli che le altre persone darebbero all’opera, oppure, se già sanno il titolo, quello che ci vedono, perché si tratta di viaggi fantastici. Le impressioni delle persone non solo sono state d’ispirazione, ma le ho anche usate per spiegare le mie opere ai visitatori che sono venuti dopo. Perché magari le persone odiano il caos e ricercano l’ordine, e vogliono sentire la spiegazione di qualcosa che non c’è, quindi spesso ho usato le interpretazioni più belle e colorite di alcune persone per spiegare i quadri ad altre. Quindi alla fine della mostra, alcune opere che erano praticamente anonime sono diventate uniche. Poi, ovviamente, c’è anche il discorso “quando un’opera diventa opera d’arte?”. Diventa opera d’arte quando tu che ne fruisci trovi qualcosa, provi empatia, e questo che si tratti di un concerto, di una pittura, una scultura, un libro. Se io scrivo un libro e me lo tengo a casa, resta solo un libro, ma diventa opera d’arte quanto tu lo leggi e entra nella tua testa, ti fa fare voli pindarici e ti arricchisce, quindi un’opera d’arte diventa tale quando ne usufruisci, altrimenti è solo un ingombro.

Le sue opere sono molto spesso istintive e guidate dai sentimenti. Le è capitato di iniziare un dipinto immaginandolo in un modo e poi, per un cambio di umore o di circostanze, il risultato finale è stato tutt’altro?

Mi succede spesso. Ad esempio, nella mostra “Scritto sul corpo”, mi sono impegnato a realizzare delle figure e quindi a studiare il corpo, mettendomi con matita e gomma e cercando di rispettare un’idea ben precisa. Invece quando dipingo normalmente è tutto molto istintivo, perché se un quadro non mi piace lo butto oppure lo metto da parte e poi lo riprendo. È la cosa più bella dipingere sopra qualcosa che hai già fatto. Si tratta di una tecnica vera e propria, nata negli anni ’80 e a cui io mi sono ispirato. Mi piace perché si dipinge per strati, dipingendo sopra il primo strato e poi di nuovo sul secondo, finché non viene fuori una composizione e un accostamento che soddisfa. A me le avanguardie come questa piacciono molto, le sento molto più vicine piuttosto che un’opera di Giotto.

A cambiare non è solo il risultato rispetto all’idea di partenza, ma anche l’opinione di quel quadro. Ad esempio, uno dei quadri della mostra inizialmente non l’avevo inserito, perché non mi piaceva per niente. Nel garage dove dipingo, c’è una finestra senza vetro da cui entrava aria fredda e quindi l’ho incastrato lì. Dopodiché una persona, guardandolo, mi ha detto “Quel quadro è bellissimo, è davvero fantastico” e alla fine se l’è anche comprato. Quindi il gusto nell’arte è molto relativo, perché magari una cosa che a me non piace a te può far impazzire. La stessa cosa succede con la musica: a volte mi capita di ascoltare con un orecchio tecnico dei gruppi che a me non piacciono per nulla, che però poi in realtà hanno un grande successo di pubblico. Quindi il concetto di piacere è fondamentale e per questo la comunicazione nell’arte non può essere gestita in maniera autentica, perché a ognuno piacciono cose diverse.

Muovendosi nella sua mostra virtuale, si ascolta Small fires dei Karate. Perché l’ha scelta come accompagnamento musicale?

È una canzone di uno dei miei gruppi preferiti sin da quando ero piccolo, un gruppo di non professionisti che però io amo molto. Anche qui subentra il gusto, perché ad esempio a me i Pink Floyd, che sono amati da tutti, non dicono niente. Il parere che si ha di un’opera deve essere sempre un miscuglio tra tecnica e gusto, perché chi studia musica per un lungo periodo studia solo la tecnica, ma poi si sente anche la necessità di fare un po’ quel che si vuole, e io ad esempio con la pittura ci riesco. Io ai musicisti dico che sono un pittore e ai pittori che sono un musicista, perché dipingere senza aver fatto mai niente, senza avere un minimo di studio, quindi essere un autodidatta, dà anche una maggiore libertà, perché se si studiano troppi sistemi tecnici si rimane anche un po’ ingabbiati. Ora siamo nel periodo della tecnica, ma nella musica, ad esempio, se vado ad ascoltare un concerto, la tecnica è relativa.

Quando dipinge ascolta musica? E la sceglie in base all’idea del dipinto che vuole realizzare o è magari la musica che guida nella pittura?

Sì, l’ascolto, però la scelta è abbastanza casuale. Ad esempio, l’anno scorso un mio amico di Milano mi ha chiesto di dipingere il soul, il funk e il jazz, ma è difficile rappresentare concetti, allora gli ho chiesto di mandarmi dei brani che secondo lui rappresentavano al meglio questi generi e allora ho realizzato tre dipinti ascoltando queste musiche. In generale, però, è difficile cercare di realizzare qualcosa a partire da un’altra, perché ci vuole molta tecnica e bisogna anche conoscere i gusti degli altri per sapere cosa può essere apprezzato.

È innegabile che ci sia una mutuale influenza e fusione tra musica e pittura, ma c’è un momento in cui una prevale sull’altra?

Si va a periodi: nell’ultimo anno e mezzo la pittura è stata tutto, perché volevo recuperare tutto quello che non sapevo. Adesso questa passione si è un po’ calmata e mi sono dedicato di nuovo alla musica. Ma tramite anche la pittura, ho rincontrato dei vecchi amici che mi hanno chiesto di suonare con loro per un disco.

Come esempio di armonia tra arte e musica, le viene in mente un quadro che secondo lei si abbina perfettamente con una composizione musicale?

È difficile da dire, perché se prendo un quadro, ad esempio di Caravaggio, che io adoro, lo posso guardare in silenzio oppure ascoltando musica metal, musica trash, satanica, classica, minimale, contemporanea: a fare la differenza penso sia la potenza dell’immagine. Oppure, al contrario, se prendiamo le colonne sonore, guardare una scena di un film senza musica non dà assolutamente la stessa emozione che con la musica. Mi piace fare sempre l’esempio di Shining, nella scena iniziale. Se si toglie l’audio, si vede semplicemente una macchina che sembra fare un road trip in Nevada, invece con la musica si iniziano a creare un ambiente e un’atmosfera che permettono di capire tutto il contesto e quindi si inizia ad avere già la pelle d’oca. Se prendiamo la mostra, avrei potuto scegliere come musica di sottofondo Vivaldi, conosciuto e apprezzato da tutti, però anche in questo caso si tratta sempre di gusti.

Lei ha scritto la musica per il video realizzato per il progetto “Il caos: l’arte inconsapevole”, abbinandola ai versi di Dante e alle tele realizzate dagli studenti ispirate all’art brut. Anche per comporre si è affidato all’istinto, ispirandosi magari proprio ai versi di Dante, o scrivendo musica si ha bisogno di una maggiore razionalità e consapevolezza?

In realtà, io ho sempre avuto un rapporto particolare con Dante. Ho frequentato l’industriale elettronico e quindi la mia forma mentis era impostata su altre materie, perché volevo fare ingegneria elettronica, e non sull’italiano. Infatti, la professoressa praticamente ci obbligava a leggere e a studiare la Divina Commedia. Scrivendo la musica da inserire nel video, mi sono divertito a ricreare le emozioni della mia esperienza personale, legata a dei ricordi della scuola. L’Inferno l’abbiamo studiato in terzo superiore e ci siamo praticamente ritrovati davanti per la prima volta un libro così antico ed è stato per noi quasi traumatico, e queste emozioni poi in realtà combaciano con la paura e la disperazione dell’Inferno. Mentre già quando abbiamo studiato il Paradiso, in quinto, eravamo più felici, più che altro perché a breve avremmo finito la scuola, e anche in questo caso nel Paradiso si parla proprio di beatitudine e c’è un’atmosfera positiva. Quindi scrivere questa musica è stata un’esperienza di abbinare i ricordi a delle note e poi l’accostamento a Dante è venuto da sé.

Lo scorso anno è stato un periodo di grande caos, che sta continuando fino ad oggi. Il lockdown è stato per lei un periodo di ispirazione e creatività o il caos nel mondo le ha impedito di concentrarsi sulla sua arte?

Il lockdown è stato per me un periodo di libertà e di creatività. Ho avuto tantissimo tempo libero e mi sono dedicato sia alla musica ma soprattutto alla pittura, perché ho realizzato davvero tantissime tele. Poi è stato un modo per studiare e per approfondire, specialmente ora che online si può trovare un’infinità di corsi tenuti anche da maestri e personalità importanti. Allora era da poco che avevo iniziato a dipingere e quindi ero gasatissimo, era qualcosa di nuovo ma proprio per questo avevo tanta voglia di sperimentare.

Simone Di Minni