“La geografia del buio” un inno alla fragilità

Il 22 novembre 2018, a Milano, il cantante Michele Bravi rimane coinvolto in un incidente stradale che causa la morte di una motociclista di 58 anni. A seguito dell’evento, gli impegni previsti del cantante vengono annullati.

È iniziato tutto da qui.

La geografia del buio nasce dal trauma che il cantante ha vissuto. È un disco che racconta non un dolore, ma il dolore; perché esistono differenti tipi di traumi, di differenti intensità, ma il dolore è unico, universale, parla sempre la stessa lingua.

“Questo è un disco che nasce dalla solitudine più grande che abbia mai conosciuto. Per tanti mesi, la mia voce è rimasta in silenzio e non è riuscita a cantare”.

L’album

L’album racconta di un vero e proprio viaggio nel buio. È un percorso di analisi, di ricerca personale in musica, proprio perché la musica serve a decifrare il dolore, a dargli un ordine; tuttavia non a guarirlo; per quello serve un percorso terapeutico, sostiene Michele. La musica è un modo per orientarsi in una stanza vuota, in una casa senza finestre (come quella raffigurata nella copertina dell’album).

Bravi afferma di aver compreso quanto sia importante condividere il proprio dolore con dignità e rispetto, poiché è proprio grazie a persone che hanno condiviso il loro dolore con lui che il cantante ha imparato a convivere con il suo. Ed è esattamente quest’ultimo concetto che l’autore trasmette con il suo album: “Il disco non spiega come uscire dal buio, ma come con quel buio si convive”.

Grande rilievo assume anche il valore dell’imperfezione, che per tutto il corso dell’album è fortissimo. La voce è spesso sulla soglia della rottura, il pianoforte sull’orlo della stonatura e questo indica quanto sia importante vivere con l’imperfezione, con l’incertezza e con l’imprevedibilità.

Il disco è registrato tutto in casa e il ronzio del frigorifero che si sente di tanto in tanto è il ronzio che si sente durante un periodo di trauma, un suono che tutti conosciamo, poiché tutti lo abbiamo sentito almeno una volta nella nostra vita.

Seppure il titolo possa far pensare a qualcosa di pessimista, in realtà è un disco di amore potentissimo. L’amore, nelle sue diverse forme, è il nucleo centrale di ogni brano, così come lo è della vita del resto. La canzone che maggiormente evoca questo sentimento è Mantieni il bacio, scritta insieme alla penna dello psicoanalista Massimo Recalcati, di cui uno dei saggi porta lo stesso titolo della traccia.

“Trattenere la sensazione del bacio sulle labbra è il modo migliore per scommettere sull’eterno” afferma il cantante. Inoltre il video racconta metaforicamente tutte le allucinazioni dell’amore.

“Perché alla fine ogni volta, è l’amore che ci salva dalla ferita del mondo. E senti solo il cuore, e il male non esiste più, e non c’è più dolore”

-Mantieni il bacio, Michele Bravi-

La geografia del buio è anche un inno alla fragilità. E credo che ad oggi sia molto importante lanciare un messaggio simile. La convinzione comune è che la fragilità sia un difetto, qualcosa a cui porre rimedio, da curare. La maggior parte di noi non vorrebbe mai al suo fianco una persona fragile, perché sarebbe una situazione rischiosa, difficile da gestire e molto impegnativa. Tendiamo ad identificare la fragilità con la debolezza, senza renderci conto che invece è una qualità potentissima. Essere fragili significa possedere una sensibilità maggiore rispetto a quella comune, ed è proprio per questo motivo che le persone di questo genere tendono a “rompersi” più facilmente. Essere fragili è un’arte ed una caratteristica delle persone più preziose. Mi piace paragonare tali persone al cristallo, che è un materiale estremamente fragile, impegnativo, nel senso che richiede molta cura e attenzione affinché non si danneggi e soprattutto non si rompa, tuttavia preziosissimo e decisamente superiore rispetto al semplice vetro.

I testi sono molto evocativi e onirici. In tutti i casi si tratta di canzoni che puntano tutto sulle parole. lasciando alla musica il compito di creare suggestioni e rafforzare la potenza di determinate immagini.

Tra le tracce che aprono un dibattito caro a Michele c’è Storia del mio corpo, dove racconta tutte le sensazioni vissute durante il percorso medico dell’EMDR, un modello clinico e un metodo d’eccellenza per il trattamento di tutti i tipi di trauma. “Insisto sull’importanza della terapia e racconto quell’unico luogo in cui non potevo evitare di sentire la mia storia: il mio corpo”.

Con l’amica Federica Abbate c’è l’unico duetto del disco, Un secondo prima: “Non esiste un prima e un dopo per chi ha vissuto un trauma, esistono due livelli differenti di consapevolezza e realtà. Non esistono espressioni con suffisso ri- (rifare, rivedere, ricantare), piuttosto esiste un fare per la prima volta, un vedere per la prima volta, un cantare per la prima volta”.

A sette passi di distanza, invece, è il brano conclusivo (e totalmente strumentale) che apre la strada alla guarigione: “La scrivo dopo aver ricevuto un vocale, che nascondo nel disco, in un momento in cui la mia voce non era ancora capace di parlare. Per questo, è fatta solo dal pianoforte e dal mio respiro” racconta l’artista.

di Riccardo Vicoli