La figura del virologo durante la pandemia

Durante il lockdown che abbiamo vissuto tra marzo e maggio, ci si ritrovava spesso la sera davanti alla tv, per guardare un film, una serie tv, ma soprattutto per avere le ultime notizie su quello che avveniva nel mondo e nel nostro paese. Le immagini più ricorrenti erano quelle degli ospedali, pieni di persone intubate e medici e infermieri sfiniti, vestiti con tute bianche, occhialoni e mascherine protettive; delle strade vuote delle nostre città, immerse in un silenzio bello ma surreale, occupate dagli animali che si erano ripresi gli spazi che l’uomo aveva sottratto loro; dei supermercati presi d’assalto, gli scaffali vuoti tranne quelli delle penne lisce (odiate, non si sa bene perché, da tutti gli italiani).

Tra le persone più attese in tv, oltre al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con le sue conferenze stampa perennemente in ritardo, e a Francesco Giorgino, il giornalista del TG1 che ogni sera ci presentava il bollettino dei morti, c’erano i virologi, categoria fino ad allora sconosciuta ai più che trattava argomenti di cui la stragrande maggioranza degli Italiani non aveva mai sentito parlare. Tra il web e la televisione, i virologi che abbiamo ascoltato sono stati tanti, da  Walter Ricciardi, membro dell’Oms e consulente speciale del Ministero della Salute, a Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, fino a Roberto Burioni, Matteo Bassetti, Ilaria Capua, Alberto Zangrillo e molti, molti, molti altri. Ogni settimana ce n’era uno nuovo, con i suoi nuovi consigli da dare alla popolazione, le sue nuove teorie e i suoi nuovi studi che smentivano totalmente ciò che il suo collega della settimana precedente aveva affermato. Le parole dei virologi, infatti, andavano una volta contro le teorie portate avanti fino a quel momento, una volta contro la politica e le misure che il governo aveva attuato. Era quasi impossibile seguire e capire le opinioni di tutti, i dati erano sempre nuovi, gli studi fatti sempre gli ultimi, le scoperte sempre sensazionali e definitive e le persone andavano sempre più in confusione.

I virologi erano diventati figure imprescindibili, a cui il popolo si affidava in una ricerca disperata di informazioni che potessero, in qualche modo, alleviare il peso delle difficoltà che tutti stavano vivendo. Ma la scienza ha bisogno dei suoi tempi per dare risposte attendibili, tempi che, in questa pandemia, non le sono stati concessi. Il mondo moderno è sempre di corsa, ha bisogno velocemente di dati e risposte, le vuole subito, anche se queste non sono complete, anche se queste non sono precise. E così, a causa di tutta questa fretta, i dati che riuscivamo a raccogliere erano incerti o cambiavano dopo poco, spesso e volentieri non erano neanche rilevati tutti alla stesso modo (si pensi al diverso metodo di conteggio dei morti attuato dalla Germania e dal’Italia). Ciò faceva si che gli scienziati non potessero studiarli in maniera adeguata, non potessero realizzare studi e statistiche oggettive e noi cittadini non potevamo confrontare le parole dei virologi in tv con informazioni attendibili. Eravamo impossibilitati dal capire chi diceva cose inesatte e chi invece era il più credibile, non potevamo farci un’opinione sulle norme che il governo doveva adottare. In una situazione del genere non potevamo neanche pretendere che i giornalisti dessero più o meno visibilità a uno di questi studiosi, in quanto interpellavano gli stessi proprio perché incapaci loro in prima persona di fornire delle informazioni. Inoltre, coloro che andavano in tv non erano dei “chicchessia”, opinionisti da quattro soldi che sparavano sentenze senza sapere di cosa stessero parlando, coloro che andavano in tv erano scienziati che ricoprivano ruoli di rilievo all’interno delle istituzioni, studiosi con alle spalle lauree, master e riconoscimenti internazionali. E così tutti parlavano, tutti dicevano giustamente la loro, tutti davano delle risposte alle persone e allo stesso tempo tutti facevano porre nuove domande, tutti facevano insorgere nuovi dubbi e il ciclo ricominciava daccapo, ogni volta come se fosse la prima.

Fabiana De Luca, III A