Lettera da Auschwitz

IC Tullio De Mauro di Roma

 

Sono stato deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. 

Scrivo una lettera ad un mio amico dove espongo l’esperienza della mia prigionia.

 

                                                                                                                                     Polonia, 29 Gennaio 1935

Cara Emma,

qui urlano tutti, nessuno capisce più nulla, donne, uomini, bambini e bambine, anziani, malati, cercano un perché di fronte a questo scompiglio. Siamo arrivati qui poco meno di due settimane fa e ancora ho indosso la puzza di letame delle bestie che erano state trasportate nei barconi, prima di noi. Ora siamo noi le bestie, ci trattano miseramente senza nemmeno un minimo di tregua. Sai ieri ho superato il mio record, più di quindici ore di lavoro con i piedi nudi sul gelido terreno bagnato dalla fredda pioggia di Gennaio. Abbiamo trasportato fin sulle scale grossi sacchi di vestiti, tutti da lavare e pulire per il giorno stesso, ma dopo la grande fatica non ci hanno ripagato nemmeno con un pezzo di pane. Sono stanca, mi tremano le mani, ho la faccia congelata e piena di graffi, lo stomaco vuoto che chiede pietà affinché gli venga dato qualcosa, la mente ormai abbandonata all’idea di fuggire da qui, sapendo che, in realtà, se ci avessi provato sarei morta prima ancora di farlo. Questo pigiama non mi serve, non serve a chi muore di freddo, non serve a chi muore di caldo. A noi serve acqua quando c’è caldo, a noi servono coperte e cibo quando c’è freddo, a noi serve la libertà e la gioia di vivere come persone comuni. Ci hanno tolto la vita e la famiglia, ma questa sofferenza a loro non basta. No, loro vogliono la morte, vogliono vederci ardere dentro quelle in cui manca il respiro e manca il coraggio. Ci hanno abbandonati come cani qui e pochi ne usciranno vivi, ma personalmente non credo di potercela fare. A te cosa è capitato? Qui non è una novità vedere le persone che si nascondono con un foglio e un pennino per scrivere alle persone più care, mentre i sergenti gli urlano contro e li massacrano di botte. E’ stato bello poterti scrivere ma questa è l’ultima volta nella tua vita che leggerei le mie parole. Ci hanno appena chiamate per fare la doccia, la nostra ultima doccia, una doccia di sangue e grida soffocate dall’indifferenza che non potranno più tornare a vivere. Non smettere di lottare e ricorda che ti ho voluto bene, con affetto. 

Greta