Proteste in Russia. L’inizio della fine per Putin?

Migliaia di persone in strada per esprimere la propria solidarietà al membro dell’opposizione Aleksej Navalnyj recentemente arrestato, violenti scontri con la polizia e migliaia di arresti in tutto il Paese.

L’inizio dei disordini risale al 21 agosto scorso quando Aleksej Navalnyj, attivista e leader del partito “Russia del futuro”, all’improvviso si sente male mentre è a bordo di un aereo diretto a Mosca. Ricoverato prima presso l’ospedale di Omsk, in Siberia, dove l’aereo atterra per l’emergenza e in seguito spostato a Berlino su richiesta della famiglia, in Germania gli viene diagnosticato un avvelenamento da Novichok, un potente agente nervino già usato dai servizi segreti russi per assassinare diversi dissidenti (famoso il caso risalente al 2018 dove si cercò di eliminare, senza successo, l’ex agente segreto russo Sergej Skripal’).

Navalnyj e il suo entourage accusano da subito il presidente Vladimir Putin e i servizi segreti russi di aver pianificato l’attentato per eliminarlo, in quanto oppositore dell’attuale capo di stato russo. Accusa sostenuta anche da diversi governi occidentali. Il governo russo, però, nega che il politico sia stato avvelenato, tantomeno che l’azione sia stata condotta da agenti del FSB, il servizio di sicurezza interno russo.

Al suo rientro nel paese eurasiatico, il 17 gennaio, dopo essere stato in coma e in terapia intensiva per diversi mesi, Navalnyj viene tratto in arresto e condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere perché avrebbe violato i termini di una condanna che aveva ricevuto nel 2014 per aver partecipato ad una protesta anti-Putin (in seguito la condanna è stata sospesa temporaneamente). Quando si trovava in Germania la sospensione della pena è stata annullata, perciò Navalnyj (che, convalescente, era appena uscito dal coma) avrebbe dovuto far rientro in Russia entro 24 ore per scontare la pena rimanente. Dato che non si è presentato in tempo è stato dichiarato colpevole di aver infranto la legge e quindi condannato una seconda volta.

Alla notizia della condanna, a partire da sabato 23 gennaio, decine di migliaia di persone (i numeri sono discordanti: vanno da 40.000 manifestanti, come riportato dall’agenzia di stampa Reuters, ad appena 4.000 secondo la polizia russa) si sono riunite nelle piazze delle principali città di tutta la Federazione russa, da S. Pietroburgo a Mosca a Vladivostok alla Siberia, per protestare contro la condanna di Navalnyj. 

La protesta è rivolta anche contro l’attuale presidente Vladimir Putin, accusato di corruzione, di limitare la libertà di espressione e di essere la causa della stagnazione economica in cui in cui il paese versa ormai da diversi anni e che genera un continuo e considerevole aumento della povertà; nel 2018 erano infatti più di 18 milioni i russi, pari al 15% della popolazione, che vivevano sotto la soglia di povertà*.

Il tentativo di avvelenamento di Navalnyj e il conseguente arresto del noto oppositore di Putin una volta rientrato in Russia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha spinto moltissime persone a scendere in piazza.  Le manifestazioni sono poi degenerate in violenti scontri con la polizia che, secondo la ONG russa OVD Info, si sono risolte con migliaia di arresti in tutto il paese. Sul sito è riportato che nella giornata di sabato 23 gennaio oltre 4000 manifestanti sono stati arrestati in 125 città mentre domenica 31 gennaio, altro giorno di imponenti manifestazioni, sono stati eseguiti almeno 5754 fermi in 86 città russe. La ONG riporta inoltre che dei 5754 fermati dalle forze di sicurezza almeno 205 sono minori e sono minimo 93 i giornalisti condotti in carcere perché non avrebbero avuto l’autorizzazione a riprendere i fatti e a partecipare agli avvenimenti. Tra gli arrestati si contano anche alcuni familiari di Navalnyj e personaggi a lui vicini.

Per limitare le manifestazioni, la Roskomnadzor, l’autorità per le telecomunicazioni russa, ha convocato i responsabili dei principali social network per chiedere loro di non diffondere questo genere di messaggi; inoltre diverse ONG russe riportano che sono state fatte pressioni su giornalisti, blogger ed emittenti televisivi, impedendo loro di “svolgere il proprio lavoro”.

Queste contestazioni anti-Putin non sono però le prime che si verificano in Russia: già la scorsa estate ci sono state diverse proteste (di minore entità) che hanno condotto a centinaia di arresti. Se, invece, si va un po’ più indietro nel tempo non si può non ricordare la cosiddetta “rivoluzione bianca” la più grande ondata di proteste che ha colpito la Russia dalla caduta dell’Unione Sovietica, che coinvolse decine di migliaia di persone durante le elezioni parlamentari del 2011 e che continuò fino al 2013.

Tutte queste manifestazioni hanno un comune denominatore: sempre più russi sono stanchi di avere Putin a capo dello stato (ruolo che mantiene, ricoprendo la carica di presidente o di primo ministro, dal 1999). Sebbene da a anni gli venga recriminato di non permettere libere elezioni e di limitare le libertà delle persone, Putin non sembra disposto, almeno per il momento, a scendere a patti con critici ed opposizione. Anzi, sembra che le risposte si facciano sempre più violente. 

Tuttavia proprio questa violenza contro chiunque si azzardi a mettersi contro il suo governo, unita al sempre maggiore numero di contestazioni e di manifestanti, è segno che, a dispetto dei dati ottenuti tramite sondaggi ed elezioni, sempre più russi ormai non ne possono davvero più di un presidente quasi dittatoriale. Putin stesso sembra aver capito che non ha più alternative e per restare al potere può solo continuare a schiacciare tutti gli oppositori. 

Che queste manifestazioni siano l’inizio della fine per il nuovo “Zar di Russia”? Solo il tempo potrà dircelo.

*fonte: ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-ce-vita-oltre-il-petrolio-24545

Altre fonti consultate: OVD Info, Reuters.

Articolo scritto il 7 febbraio 2021 da Giulio Sgrò, 3A liceo classico “G. Piazzi-C. Lena Perpenti”, Sondrio.