L’antimonio: un elemento dimenticato

Daniele Bonforte 3 DSA

Un elemento di cui si parla molto poco, ma usato sin dall’antichità, è il numero 51 della tavola periodica: l’antimonio. Il suo simbolo è Sb, questo si deve al chimico Svedese Jöns Jacob Berzelius che iniziò a citarlo nei suoi scritti, usando l’abbreviazione del nome latino “stibium” ovvero “bastoncino”. I bastoncini, infatti, realizzati con polvere di antimonio erano utilizzati come trucco per gli occhi nei riti religiosi. Il simbolo proposto da Berzelius fu St, questo nome proviene a sua volta dal termine copto del solfuro d’antimonio. L’origine del nome è incerta, può derivare sia dal greco, dalle parole “anti” e “monos”, col significato di “opposto alla solitudine”, sia dalla parola “anti-monaco”, poiché molti monaci della Transilvania usavano cucchiai fatti con una lega di antimonio (data la gran quantità di miniere in quella zona) rimanendone avvelenati. Esso viene usato per produrre vernici, smalti e ceramiche, ma anche per una grande varietà di leghe metalliche. Se puro, è usato per produrre determinati dispositivi a semiconduttore come i diodi ed i rivelatori ad infrarossi, può essere unito con il piombo per aumentarne la durevolezza; è un semimetallo che si presenta in forme diverse: la forma metallica ha un colore argenteo che tende al bianco ed è luminosa, mentre la forma non metallica può essere di colore giallo e nero e si presenta come una polvere. È possibile trovarlo libero in natura ma solitamente viene ricavato dai minerali di stibnite (Sb 2 S 3 ) e di valentinite (Sb 2 O 3 ), tanto che la quantità di antimonio nella crosta terrestre è minima. Come ogni semimetallo, ha un aspetto simile a quello di un metallo ma non presenta i comportamenti fisico-chimici tipici: è uno scarso conduttore termico ed elettrico e sublima a temperature basse. Come già detto, l’antimonio è poco presente in natura ma grazie all’azione umana è divenuto molto importante per l’economia mondiale: la sua produzione annuale è di circa 50mila tonnellate, provenienti principalmente da Cina, Russia e Sudafrica, le riserve mondiali stimate superano le 5 milioni di tonnellate.  L’antimonio, poco presente in acqua, mediante gli acquiferi può attraversare grandi distanze. Esperimenti in laboratorio con topi, conigli e cavie hanno indicato che livelli relativamente alti di antimonio possono uccidere gli animali di piccole dimensioni. I ratti possono mostrare danni, ai polmoni, al cuore, al fegato ed ai reni, prima della morte. Gli animali che respirano per lungo tempo piccole quantità di antimonio possono presentare irritazione agli occhi, perdita dei capelli e danni ai polmoni; se inalato per un paio di mesi può causare problemi di fertilità. Per concludere, qualche cenno storico: l’antimonio fu bandito per un breve periodo dalla Facoltà di medicina di Parigi, ma la proibizione cadde nel luglio del 1658 quando Guénaut, medico personale di Anna d’Austria, somministrò al re Luigi XIV un medicinale a base di antimonio e vino, che guarì il re.
Dell’antimonio si fa un uso medico tutt’oggi nella medicina islamica che lo adopera come disinfettante per gli occhi. Viene usato anche per curare le cicatrici e se miscelato con miele liquido, viene ritenuto un efficace rimedio contro l’emicrania. Se polverizzato e mescolato con determinati grassi, può servire come rimedio per le scottature della pelle.