Vaccini, terrorismo, SARS: che cos’è l’infodemia?

Nell’articolo <<When the Buzz Bites Back>> di David J. Rothkopf, pubblicato  sul giornale Washington Post in data 11 maggio 2003, è stato coniato il termine “infodemia” per indicare una confusione di informazioni veritiere mischiate a notizie false, congetture e interpretazioni infondate, diffuse velocemente in tutto il mondo dai mass media. La causa di tale fenomeno si può ricondurre al fatto che, a causa dei social, le cosiddette fake news tendono attualmente a diffondersi in maniera più veloce e capillare all’interno della società. 

A complicare il problema, inoltre, è anche il diffuso “analfabetismo funzionale”, per cui il nostro Paese è tristemente noto: le persone che hanno difficoltà a comprendere un testo scritto sono, infatti, particolarmente predisposte a divenire vittime di notizie non attendibili.

Questo problema ha cominciato a riscontrarsi già prima della pandemia da Coronavirus, in relazione ad argomenti come la SARS, il terrorismo e altri avvenimenti di minore entità: l’articolo di Rothkopf cita come esempio il panico diffusosi a livello mediatico nel 2002 riguardo agli attentati terroristici, sebbene in quell’anno, secondo il Dipartimento di Stato degli USA, questi abbiano raggiunto il livello di pericolosità più basso dal 1969. Successivamente l’OMS in un report del 2 febbraio 2020 ha affermato che sia questa, e non il Coronavirus, la malattia attualmente più preoccupante, in quanto complica la gestione stessa dell’epidemia.

A conferma di ciò, la Fondazione Bruno Kessler di Trento ha effettuato un’analisi di 100 milioni di messaggi pubblicati su Twitter dal 22 gennaio al 10 marzo 2020: da questa ricerca si è osservato che solo 4000 di essi erano curati da esperti; tuttavia, con la diffusione della pandemia nel mondo, si è registrata una maggiore circolazione di informazioni provenienti da fonti affidabili. La stessa fondazione trentina, in collaborazione con l’OMS, sta raccogliendo i dati relativi ai post di Twitter riguardanti la pandemia: in base a questi studi, si stima che le fonti non affidabili rappresentino quasi il 30% dei tweet pubblicati dal gennaio 2020. 

L’infodemia può diffondere un senso di sfiducia nei confronti delle fonti di informazioni affidabili e degli esperti, influenzando negativamente le decisioni dei singoli individui: si pensi ai milioni di persone convinte, all’inizio della pandemia, che la mascherina fosse inutile. In tal modo, può divenire difficoltoso reagire in maniera efficace di fronte a problemi collettivi: in Francia, per esempio, l’alto numero di persone scettiche (già dal 2019) nei confronti dei vaccini può impedire il raggiungimento di una soglia efficace di vaccinazioni. 

I dati possono certamente aiutare a combattere questo flusso incontrollato di informazioni, nel caso in cui, è bene precisarlo, siano utilizzati in maniera opportuna. Capita spesso, come sostenuto ad esempio dal Sole 24 Ore, che vengano riportate cifre decontestualizzate e assolute, senza alcun riferimento al campione statistico (si pensi al numero di contagi giornalieri, esplicitato senza menzionare il numero di persone sottoposte all’esame diagnostico). Come conseguenza di ciò, si può constatare in alcuni casi la tendenza a farsi prendere dal panico o dall’entusiasmo di fronte a dati non utili a definire l’andamento generale dell’epidemia, per esempio la crescita o la diminuzione dei contagi da un giorno all’altro; da tali dati, infatti, è sicuramente possibile ricavare informazioni importanti, ma solo confrontandoli con quelli registrati nei giorni precedenti (in modo da calcolarne la media e visualizzarne il trend).

Non esiste, a mio parere, una soluzione specifica a questo problema, ma bisognerebbe limitarsi a gestirlo in maniera razionale. Un utilizzo consapevole dei social media può rivelarsi efficace per orientare il pubblico verso fonti attendibili, come ha cominciato ad avvenire nell’ambito di alcune piattaforme come Facebook, Google Scholar e Twitter, che si pongono al servizio delle organizzazioni sanitarie. In più, contro la disinformazione sono sorti già prima della pandemia dei siti chiamati fact-checker, come per esempio Facta, che si occupano di smentire le fake news. Tuttavia, ogni notizia o dichiarazione, comprese quelle provenienti da fonti attendibili, può essere interpretata in vari modi e fraintesa, per cui è bene verificare nel dettaglio le informazioni prima di trarre conclusioni. Nel nostro piccolo, inoltre, possiamo tentare di orientarci in questa babele di notizie ricordandoci che il mondo è molto complesso e che ciò potrebbe impedire una corretta comprensione di molti fenomeni che non sono alla nostra portata  e per i quali non si possono cercare soluzioni semplici. Evitare di cedere a stati d’animo irrazionali nell’interpretare le notizie che ci giungono ogni giorno e comprendere che la realtà non deve necessariamente adeguarsi alla nostra visione dei fatti, spesso frutto di pregiudizi; anzi, molto spesso è proprio questa non accettazione della realtà a disorientarci e a farci cadere vittime di titoli sensazionalistici, del clickbaiting e delle teorie del complotto. Tutto ciò è parte della componente irrazionale della mente umana, che ha trovato nella velocità e nella potenza di comunicazione dei social network una maggiore capacità di diffusione.

 

Di Matteo Palandri