Covid-19 e disuguaglianza tra Stati

Il 1346 ha avuto la peste nera, il 1900 la malaria, nel 2020 siamo stati invece vittime del Covid-19, gettando molti paesi in profonde crisi economiche, sociali, politiche oltre che ovviamente sanitarie.
Un virus come il Covid, di certo, non fa differenza tra ricchi e poveri, tra forti e deboli, ma la gestione di esso sì, e la sua diffusione  dipende dalla gestione dell’emergenza sanitaria, com’è stato dimostrato da un anno a questa parte. Per le metropoli o le aree più ricche sembrerà una cosa scontata avere mascherine, igienizzanti e risorse a sufficienza ma non è lo stesso per i Paesi più poveri, come l’India, dove, a differenza delle persone che passano la loro quarantena con acqua corrente, climatizzazione e tutti i comfort che si possano desiderare, si è costretti a passare la quarantena in condizioni pessime, essendo lavori comuni e manuali a mandare avanti l’economia del Paese e non permettendo così l’opzione di lavorare da casa ed evitare possibili contagi. Le difficoltà risiedono anche nella grande quantità di baraccopoli dove anche un simil-distanziamento sociale è impensabile.

Inoltre, nemmeno per le vaccinazioni la situazione è ottimale.  In oltre 60 Paesi (tra i più poveri) solo il 10% della popolazione verrà vaccinato, a causa del loro reddito basso non possono permettersi l’accesso al vaccino, acquistata in gran parte dai Paesi più ricchi. Nonostante Oxford-AstraZeneca si sia impegnata a fornire il 64% delle sue dosi alle persone nei Paesi in via di sviluppo.
Ma la differenza di gestione non sta solo nella ricchezza di un paese, anche in Italia, uno dei paesi più ricchi al mondo, la gestione dell’emergenza da Covid-19 non è stata delle migliori,
probabilmente ciò è anche dovuto al fatto che sia stata il primo paese a entrare in contatto con il Covid, ciò non giustifica la poca preparazione per la prevedibile seconda ondata. Con il
recente vaccino è stato, inoltre, stabilito un ordine di somministrazione dando priorità ad alcune categorie: gli operatori sanitari e sociosanitari, le fasce di età più a rischio, i pazienti in condizioni critiche e con immunodeficienza,  il personale scolastico, le forze dell’ordine per poi completare la vaccinazione sul resto della popolazione

Adriano De Caro, III C