Figliolo, mi ricordo l’anno del 2020 come fosse ieri

Avevo quasi 18 anni e, a gennaio come tutti gli anni precedenti pensavo che sarebbe stato l’anno migliore di sempre: il mio anno. Così, purtroppo, non fu. A gennaio iniziarono a parlare del “coronavirus” proveniente dalla Cina, forse, o comunque da Oriente. Voci dicevano che sarebbe stato un raffreddore – magari un po’ più forte, ma pur sempre un raffreddore.

Ad oggi posso dire “Raffreddore? Magari lo fosse stato!” In men che non si dica ci ritrovammo – e quando uso “ci” intendo proprio tutti – in piena emergenza sanitaria. Da quello che doveva essere un semplice raffreddore divenne pandemia globale. Scuole chiuse, discoteche chiuse – a proposito dei miei quasi 18 anni -, fabbriche chiuse, supermercati aperti solo per i beni di prima necessità e insomma il resto era completamente off-limits.

Immaginavo già le famiglie sull’orlo della disperazione. Avevo paura per la mia salute, per mamma e papà, per mio fratello, per i nonni che erano ad alto rischio. Avevo paura soprattutto per mamma che lavorava al supermercato e mi chiedevo come fosse possibile che dovesse andare a lavorare durante una tale emergenza mondiale.

Non scorderò mai gli occhi azzurri di mamma quasi annegati dalle lacrime. Aveva paura per lei, per noi.

Era un periodo così difficile che pensavo che tutti avrebbero seguito le regole, ma non fu così. Erano obbligatori guanti e mascherine per andare ovunque (ammesso che si uscisse, chiaramente) e, ancora, c’erano persone che si rifiutavano di farlo.

La popolazione stava uscendo di testa: chi sputava addosso alle persone (perché il virus si trasmetteva per via aerea) e credimi che è successo, chi sputava sui carrelli della spesa, sulla frutta… eravamo tutti – o almeno quasi tutti – chiusi in casa per un periodo necessario sì, ma interminabile. Le scuole non erano pronte e attrezzate e lo studio diminuì, il lavoro era pressoché inesistente e la gente cominciava a perderlo. La gente aveva paura di morire, si suicidava. C’era il CAOS generale.