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Essere attori è un privilegio – Intervista a Renata Zamengo

L’intervista che segue è frutto dell’incontro con l’attrice Renata Zamengo, classe ’42, prima ballerina, poi attrice e capocomica, che ha lavorato con i più grandi registi del secolo scorso: Luigi Magni, i fratelli Taviani, Guicciardini, Luca Ronconi, ma anche Dario Argento, Mario Monicelli e altri. La sua attività di attrice l’ha portata a recitare sui palcoscenici di tutta Italia e all’estero. La sua attività di capocomica l’ha invece posta di fronte alla grande responsabilità di gestire una intera compagnia di giro. Mi sono incuriosito su come e quanto questo lavoro abbia influito sulla sua vita e, poiché si tratta anche di mia nonna, è stato facile chiederle un’intervista.

Buongiorno Renata oggi sei qui per rispondere ad alcune domande sulla tua carriera da attrice e per cominciare vorrei partire proprio da questo. Come e perché hai sentito il desiderio di cominciare a recitare?

Buongiorno a te, parto dal fatto che apparire sul palcoscenico è sempre stato per me qualcosa di esaltante, emozionante. Ho iniziato con la danza molto presto e, calcando i palcoscenici già da piccola, il passaggio è stato quasi naturale. Dopo il percorso della danza ho sentito la necessità di esprimermi attraverso la recitazione sul palco.

Ci sono stati spettacoli che ti hanno segnata più di altri? Quali?

Potrei elencarne alcuni, essendo legata per un motivo od un altro ad ogni mio lavoro. Sicuramente lo spettacolo in cui ho interpretato Maria Stuarda mi ha coinvolta molto: un personaggio interessante, drammatico e appassionato che mi è piaciuto tanto interpretare e che è stato di grande effetto anche per il pubblico.

Un altro spettacolo che mia ha dato una grandissima soddisfazione, per cui tra l’altro sono stata premiata come miglior attrice dell’anno, è sicuramente “Caro Goldoni”, di Augusto Zucchi; uno spettacolo basato sulle opere di Goldoni attraverso quattro personaggi interpretati da soli due attori, uno spettacolo che ti metteva alla prova su più livelli e che ho portato avanti da capocomica.

Infine uno spettacolo che è stato un vero punto di svolta della mia carriera, in un momento storico particolarmente effervescente per il paese e per la mia vita, in un momento in cui mi ero separata da mio marito e ho preso maggiore consapevolezza di me stessa: “Se Fossi Nata In America”, scritto e interpretato interamente da me. Si tratta di un monologo in cui sentivo la necessità di rappresentare una donna e tutti i suoi problemi, ironico e autobiografico: anche a seguito del discreto successo di pubblico ha nutrito molto la mia autostima come attrice.

Ci sono Personaggi che ti piace interpretare più di altri?

Ogni ruolo ha la sua bellezza, ma ti direi che mi dà molta soddisfazione interpretare i personaggi brillanti, ironici, che hanno dietro una sorta di comicità.

Credo che nel momento in cui un attore riesce a far ridere il pubblico attraverso un movimento, un gesto, una battuta o una pausa, arriva all’apice della sua carriera, all’esaltazione del ruolo dell’attore, alla massima espressione del compiacimento umano. Ecco perché mi sento fortunata a poter lavorare facendo qualcosa che mi appassiona: essere attori lo ritengo un privilegio.

Attori si nasce o si diventa?

Io vengo dalla gavetta, pure avendo fatto per un periodo l’Accademia d’arte drammatica, credo che recitare sia soprattutto un talento innato: devi certamente studiare, ma di base devi avere orecchio e ambizione.

Poi sai normalmente se uno è attore lo è perché ha la necessità di esserlo, di rappresentarsi: gli attori cominciano a recitare normalmente perché sono timidi e vogliono esprimersi. Per quanto mi riguarda io, anche senza pubblico, volevo entrare nei personaggi, studiarli, studiare quelli degli altri e immedesimarmici. L’attore deve saper coniugare bene il proprio talento, lo studio e il lavoro su se stesso.

Credo quindi infine che attori da un lato lo si diventi, studiando e praticando, ma lo si è, nella misura in cui alla base ci deve essere del talento.

Cambiare da spettacolo a spettacolo la cerchia di colleghi, è fonte di ispirazione o di squilibrio per te?

Assolutamente non è fonte di squilibrio.

Il teatro è cambiamento, un flusso continuo, una scena reciti in un modo, la seconda in un altro e la terza in un altro modo ancora: Così anche per i tuoi compagni, e quindi poi ogni sera sul palco ci si scontra e ci si confronta, mentre dopo, a cena, si ragiona sul lavoro andato in scena.

Dopodiché cambi spettacolo ed hai altri compagni, altri attori con cui puoi misurarti e studiare ed è forse una delle cose più belle del mestiere. Ogni spettacolo arricchisce la mia esperienza, ogni volta entro in simbiosi con i miei copioni.

Ovviamente alla fine di una tournée può esserci un po’ di tristezza, ma la felicità di poterne iniziare un’altra non potrà mai competere, anche perché la ripetitività nel teatro sicuramente aiuta a migliorarsi, ma risulta pesante a lungo andare: non puoi andare avanti sempre a fare la Maria Stuarda, no?

Il cambiamento è la bellezza del nostro mestiere.

Morgan Sebastian Wahr IV G