Catfish o aspiranti Mattia Pascal?

Le persistenti difficoltà sanitarie che questo periodo impone all’umanità hanno in parte contribuito ad alimentare il modello dell’uomo diffidente e intimorito dalla socialità. A quest’ultimo il crescente fenomeno del “catfishing” potrebbe risultare l’ennesima arguzia che la diabolica mente umana ha escogitato per adescare i più ingenui. Di conseguenza i social, nati come efficienti strumenti di comunicazione, divengono il palcoscenico del puro spettacolo, della finzione. Inizialmente per gioco, nascono profili di persone inesistenti. Modellati costruendo un alter ego, un’ idealizzazione di se stessi. Viene lanciata l’esca in mare. E istantaneamente i pesci iniziano ad abboccare, incoscienti.
Questa è la genesi del “catfishing” il gioco del sopraffattore (il gatto) e della vittima (il pesce). Gioco capace di durare anni. Di concludersi con una proposta di matrimonio rivolta ad un utente mai esistito. Raramente i casi di “catfishing” derivano dal desiderio di estorsione fiscale. Allora cosa porta un uomo o una donna a fingere così accuratamente e per un periodo così ampio? Più che “catfishing” il fenomeno potrebbe risultare un tentativo di imitare il famosissimo Mattia Pascal, protagonista indiscusso della letteratura del ventesimo secolo. Nel Fu Mattia Pascal Pirandello dimostra per l’ennesima volta una lungimiranza al limite della chiaroveggenza: Mattia è uno dei tanti “non ancora morti”, ovvero coloro che fisiologicamente sono vivi e vegeti ma psicologicamente sono meno vitali di un sasso. Ciondola da un luogo all’altro con il fare di uno zombie e l’entusiasmo di un 98enne. Ma in fondo è una condizione più che logica considerando le sfortune che una dopo l’altra lo hanno bersagliato. Una serie di infelici circostanze quasi magnetiche, portate per natura ad attirarne di nuove. Quello che sembra il racconto della rassegnazione umana di fronte al destino inevitabile e crudele si trasforma, pagina dopo pagina, nell’avvincente storia di un uomo che, non avendo più nulla da perdere o guadagnare, si limita a sistemare carte pescate dal mazzo del destino e a riordinarle. La prima carta è il riconoscimento di Mattia Pascal in un perfetto sconosciuto, morto in un drammatico incidente su un treno. A pioggia un numero di carte impressionante si dispone (in parte autonomamente, in parte con un piccolo aiuto da parte del protagonista) nella creazione di una nuova identità per Mattia, o dovrei dire Adriano Meis. Così come Pirandello si è concentrato sulla sfera psicologica del personaggio uscito dalla penna, arricchendolo di mille sfumature, anche noi dovremmo entrare nel cuore della questione. Nonostante il “catfishing” sia un fenomeno da denunciare con ugual severità di ogni altro reato, dobbiamo ammettere che una parte di noi non stenta a comprendere le motivazioni che portano a creare il profilo di una supermodella e astronauta californiana. Negli anni ’50 del secolo scorso, Donald Winnicott e Carl Rogers hanno coniato il termine “falso sé” per identificare la maschera che l’uomo è portato a creare dalla sua stessa natura, per nascondere il “vero sé” nelle relazioni interumane. Ciò che veramente risulta complicato percepire è l’ingenuità delle vittime di tale fenomeno. Eppure i dati dimostrano che la maggior parte della gente adescata fosse consapevole dell’esistenza di tale moderno reato.
L’incapacità di collegare e riconoscere i sintomi del sotterfugio ci vengono eccellentemente spiegati dall’articolo di John Suler del 2004, professore di Psicologia della Rider University e studioso dei comportamenti che adottiamo online, secondo cui la reale colpevole è la disinibizione che l’utilizzo dei social trasmette all’utente. Lo stesso effetto che anima gli haters e i “leoni da tastiera”, nella vita reale poco più che agnellini. In conclusione il “catfishing” è un fenomeno contradditorio. E contraddittorie sono le reazioni che suscita. Incomprensibile e imprevedibile. Eppure capace di risvegliare un’empatia nascosta nel profondo. L’unica soluzione, impossibile da prendere in considerazione per la generazione Z, è di sfruttare i mezzi di socializzazione, e non farci sfruttare da quest’ultimi.

Matilde Procopio