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La chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore è la Cappella Sistina di Milano ma in pochi la conoscono

L’amara verità: Italia incapace di valorizzare il suo patrimonio artistico

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Maurizio_al_Monastero_Maggiore

Varcata la soglia di un’anonima facciata ottocentesca di Corso Magenta, la meraviglia. E’ la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano che con i suoi 4 metri di superficie affrescata (l’intero spazio interno) è in grado di lasciare ogni visitatore a bocca aperta.

Una forma inusuale, a causa del pontile che divide la zona dei fedeli da quella riservata alle monache di clausura, e un ciclo pittorico ad opera di Bernardino Luini, che le è valso il nome di Cappella Sistina di Milano – attribuitole dal critico d’arte Vittorio Sgarbi – la chiesa si presenta come la massima espressione dell’arte rinascimentale lombarda. Non sono solo le volte stellate a stupire e regalare magia, ma anche i singoli affreschi, con i loro ricchi particolari. L’Arca di Noè, con i suoi due unicorni, e la Deposizione, con tutto il dolore che ne emerge, sono solo due degli innumerevoli capolavori al suo interno. Dal punto di vista architettonico e pittorico l’ex monastero sfiora la perfezione, e si può dire che l’edificio abbia un singolo difetto

Tuttavia, i più ignorano la sua esistenza. Restaurata dal 1997 al 2015, grazie al contributo della Banca Popolare di Milano, conta dal 2006 circa 166 mila di visitatori annui, un numero esiguo se confrontato con i quasi 418 mila della pinacoteca di Brera nel 2019, o i 260 mila del Museo del Novecento nel 2018, per non parlare dei 6 milioni del Duomo. Potrebbe essere uno dei tesori più preziosi della città, eppure a causa della mancata valorizzazione e promozione da parte delle istituzioni, sembra destinato a rimanere nascosto. 

Ma il caso di San Maurizio non rimane isolato. Spostando infatti l’attenzione dalla metropoli all’Italia intera si giunge ad un’amara scoperta. Sembrerebbe che nel nostro paese la tendenza sia proprio quella di comportarsi passivamente nei confronti dei propri beni culturali, senza l’adeguata attenzione, l’apporto economico e la sensibilizzazione del pubblico. A sostegno della tesi, il rapporto del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica che dimostra come, a seguito della crisi del 2008, la riduzione degli investimenti nel settore culturale, nel triennio 2009-2011, sia stata del -33% annuo. E’ una percentuale tale da far rientrare l’Italia tra i Paesi dell’Europa con meno investimenti nel settore. 

Da ciò si trae un’agghiacciante conclusione: l’Italia, che vanta il primato internazionale per numero di siti dichiarati dall’Unesco (54 totali), non considera la cultura una priorità ma un lusso, nonostante faccia parte di un’Europa che riconosce nel patrimonio artistico una risorsa fondamentale per lo Stato e un significativo impatto positivo per la qualità della vita dei suoi cittadini.

 

Cecilia Di Pietto

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