L’onomastica nell’antica Roma

I nomi propri nell’antica Roma erano alquanto diversi dai nostri. Rappresentavano una sorta di carta di identità. Infatti, la lex Iulia municipali del 45 a.C. prevedeva che l’onomastica completa di un cittadino romano, maschio e nato libero, si componesse dei tria nomina (i tre nomi, chiamati rispettivamente praenomen, nomen, cognomen), ai quali potevano aggiungersi altri soprannomi e, talvolta, anche un patronimico.

Per primo compariva il praenomen che altro non era che il nome personale attribuito alla nascita. Nelle iscrizioni lapidarie e negli scritti si ridusse alla sola iniziale, in quanto davvero poco utilizzato fuori dal contesto familiare.

Vi era poi il nomen, che stava a indicare la gens di appartenenza.

Cos’era una gens? Era un gruppo di famiglie legate tra loro da un antenato comune. Tra di esse, spiccavano la gens Iulia e la gens Claudia, alle quali appartenevano alcuni dei più importanti personaggi della storia romana.

L’ultima parte dei tria nomina era il cognomen, un soprannome legato a una qualità fisica o morale di una persona, o a un avvenimento che l’aveva vista protagonista. Nacque con lo scopo di riconoscere gli individui omonimi appartenenti alla stessa gens, ma poi cominciò ad essere trasferito di padre in figlio, dividendo così le gentes in famiglie.

Oltre al cognomen, spesso veniva aggiunto un secondo soprannome, definito agnomen. Anch’esso seguiva una catena ereditaria, e quindi divideva le famiglie in ulteriori sottofamiglie.

I tria nomina, però, spettavano solo agli uomini liberi. I liberti, ovvero gli schiavi liberati, e i servi assumevano praenomen e nomen del padrone e come cognomen il loro nome originario. La loro condizione sociale veniva espressa inserendo il termine libertus/a o servus/a tra nomen e cognomen.

E le donne? In età repubblicana, le donne erano conosciute solo con il nomen, declinato al femminile, spesso seguito da un aggettivo per far fronte ai casi di omonimia (Maior e Minor se le donne erano soltanto due; numeri cardinali se erano più due). Nel caso in cui fosse necessaria un’ulteriore specificazione, il nome gentilizio era seguito dal genitivo del nome del padre o del marito. Dalla tarda Repubblica, veniva assegnato anche il femminile del cognomen paterno, spesso alla forma diminutiva.

 

di Baptiste Alexandro