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The Social Dilemma: Internet ci porterà allo stesso futuro post apocalittico di Terminator?

Il docu-film che ci ha fatto riflettere su questa possibilità

È decisamente una visione estremamente pessimistica sul futuro, eventualmente dominato da cyborg e dall’intelligenza artificiale. Difficilissima da immaginare, eppure non molto lontana dalla realtà: certo, non ci sono robot assassini in giro per il mondo, ma una sorta di controllo esiste già. 

Chiaramente si tratta di un uso ad effetto del concetto di intelligenza artificiale, e nel documentario di Jeff Orlowski, ‘The social dilemma0, ci sono diversi altri esempi simili; si parla di “capitalismo della sorveglianza” e si citano i mondi di ‘Matrix’, ‘The Truman Show’ e ‘Terminator’. Ma di cosa si tratta realmente? 

Il documentario (peraltro molto recente, uscito nel 2020) analizza diversi aspetti dei social. Per farlo, il regista ha coinvolto diversi esponenti (o ex-esponenti) di grandi colossi come Google, Pinterest e Facebook per spiegare, dal loro punto di vista, quanto siano impressionanti gli strumenti usati dalle società. A questo scopo, ha inserito anche spezzoni di una fiction che racconta la storia di un adolescente dipendente dai social network.

In poche parole, ci mostra i diversi motivi per i quali non dovremmo più usare i social. Sotto questo punto di vista non è molto convincente, ma è un buono spunto per rifletterci su.

“Se non stai pagando per il prodotto, allora il prodotto sei tu”. La prima frase allarmante del documentario ci spiega il senso dello “Scaricalo gratis!” che spesso compare sugli schermi dei nostri dispositivi elettronici. Sfortunatamente, in questa vita nulla è gratuito al cento per cento, e quindi anche in questi casi c’è il trucco; il problema è capire quale sia il prodotto da barattare. La risposta ci compare immediatamente: è la nostra attenzione il prodotto venduto. In pratica, le pubblicità. Viene indirizzata a ogni utente una parte del mondo verso quello che dice la sua pubblicità. E con queste non è difficile influenzare le idee degli utenti (forse si insinua che si tratti di un rudimentale controllo delle menti?).

Poi ci viene spiegato che esiste una compra-vendita di utenti fra aziende, uno scambio continuo di informazioni che arricchisce la banca dati sia delle diverse aziende sia della macchina che si occupa dell’algoritmo. L’algoritmo è quello che con diversi complicati calcoli ci consiglia cosa guardare, leggere, ascoltare. La macchina è capace di apprendere e si modifica da sola, si adatta. Anticipa la nostra prossima mossa, grazie ai dati che ha su di noi.

“Accettiamo la realtà del mondo come ci si presenta”. Altra frase da far venire i brividi. E pensare che potremmo anche dire di non essere così disarmati e sprovveduti da accettare qualunque cosa senza rifletterci su. L’umanità è di fatto sprovveduta fino a quel punto, tanto che gli algoritmi si basano su questo: dopo una ricerca, ci mostrano tutto quel che può essere inerente. Cercano la somiglianza, perché sanno che se è simile al nostro interesse allora ci interesserà. Col tempo, questo porta ad avere la falsa sensazione che tutti siano d’accordo con le nostre idee, ma non ce ne accorgiamo. Lo accettiamo e basta, perché tanto “Anch’io la penso in quel modo”. E a questo punto smettiamo di vedere opinioni contrarie alle nostre. Non siamo più oggettivi e ci chiediamo quanto siano ciechi quelli che non la pensano come noi: se vediamo costantemente queste informazioni, come fanno gli altri a non capire? Semplicemente gli altri ricevono informazioni completamente diverse dalle nostre perché tutto ormai è “personalizzato”. Per loro siamo noi quelli ciechi. E sicuramente loro penseranno che siamo pazzi, così come noi lo pensiamo di loro. Il tutto legato da un circolo vizioso, perché è così che funziona.

“L’intelligenza artificiale non distingue la verità, quindi non può risolvere il problema delle fake news”. A questo punto il documentario ci dice che Internet è talmente intelligente da poterci influenzare, ma non abbastanza da poter distinguere una notizia vera da una fasulla. A prima vista non ha senso, ma logicamente (forse) lo ha: gli algoritmi sono solo calcoli, è solo matematica, e alla fine per Google un click vale come un altro, non ci mette mica la testa per capire se ciò che contiene il link sia vero o meno. Certo, questo sistema irrazionale (anche se matematicamente quasi perfetto) favorisce le fake news (molto più interessanti della noiosa realtà e anche più vendibili), ma i team di tecnici, come il documentario ha tenuto a evidenziarci, non restano con le mani in mano: poco alla volta localizzano fake news e le eliminano, ma questo è un processo lento e ci vuole pazienza.

Per finire, l’ultima citazione: “Le intelligenze artificiali diventeranno sempre più brave a predire quel che faremo e cosa ci terrà incollati di più allo schermo”. Incredibilmente non intenzionata a ricordare la storia di “Terminator” e della conquista cibernetica dell’umanità, questa citazione ci fa subito pensare che in fondo la tecnologia ha forse un leggero controllo su di noi. E, chissà, forse l’estremo pessimismo del documentario ha sempre avuto un fondamento, riflettendoci bene. Di sicuro non ci porterà all’estinzione della razza umana, però magari un pensierino sulla nostra dipendenza da Internet lo farei.

Arianna Lavalle Volta 3E