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Giovanna I D’Angiò: la prima sovrana di Napoli per diritto ereditario

Giovanna I d’Angiò fu regina regnante di Napoli, regina titolare di Sicilia e di Gerusalemme, contessa di Provenza, dal 1343 al 1381, anno della sua deposizione.

Fu la prima donna a sedersi sul trono napoletano quando il nonno, Roberto I, detto Il Pacificatore d’Italia, la designò al comando, non avendo altre scelte. Pose presto Giovanna al centro di una matassa di odi e rivalità che macchiò di violenza un governo già consumato da problemi finanziari e politici.

L’orgoglio di essere la prima regina di Napoli non si rivelò un privilegio. Allora come oggi, una donna al vertice trovava molti ostacoli, anche se detentrice di un potere assoluto. Una dolce ragazza di appena sedici anni si scoprirà a governare un regno debitore economicamente e precario politicamente.

Giovanna I aveva un carattere forte che quasi intimoriva. Era colta, cresciuta a corte in compagnia di letterati e artisti del calibro di Giotto, Petrarca e Boccaccio, e questo indispettiva ulteriormente i suoi denigratori. Era uno spirito libero, emancipata e incurante delle ostilità altrui.

Non è difficile immaginare che i nobili avevano terreno fertile per diffondere fantasiose e, a volte, denigratorie leggende sul suo conto.

In effetti, Giovanna non si preoccupava più di tanto del giudizio morale sulle sue azioni né tantomeno di avere qualche amante. I pettegolezzi nobiliari, ingiustamente alimentati dai suoi quattro matrimoni, la dipingevano come un’assetata seduttrice.

Per la sua prima relazione coniugale, con il Duca di Calabria, fu accusata di uxoricidio. Rimase vedova anche del secondo marito e il terzo la abbandonò. Il quarto, sposato all’età di 53 anni (età non da poco per l’epoca) morì per lei nel tentativo di liberarla.

È interessante sottolineare che, quando fu il tempo di far da moglie, Giovanna d’Angiò si recò a Roma da Papa Clemente VI e si fece incoronare regina del Regno di Napoli. Il suo consorte e i futuri altri si dovettero accontentare solo ed esclusivamente del titolo di Duca di Calabria.

Al tempo era in atto quello che sarebbe passato poi alla storia come Scisma D’Occidente. Giovanna, amante delle arti e di posizione laica, si schierò con l’antipapa. Aveva sempre mal sopportato le interferenze papali nella sua vita e nell’amministrazione del suo regno.

Nell’aprile del 1380, dichiarata eretica e scismatica, fu deposta, mentre l’erede già nominato, Carlo di Durazzo, si schierava con il Papa legittimo.

Giovanna lo estromise tempestivamente dall’eredità e questo portò numerose crepe nelle sue “amicizie”, vano fu l’arroccamento in Castel dell’Ovo per proteggersi dai Durazzo, accompagnati dai Visconti, entrati in armi a Napoli.

A incorniciare questo incastellamento si racconta la leggenda di Castel Dell’Ovo, per la quale il mago Virgilio avrebbe creato, all’interno di una sfera di cristallo, un uovo d’oro per salvare Napoli da ogni calamità naturale e per garantirle stabilità e vita eterna. L’uovo era protetto da straordinarie misure di sicurezza: pesanti serrature che blindavano una gabbia segreta, custodita nei sotterranei del castello. Durante l’assedio, Castel dell’Ovo subì forti danni a causa di un crollo. L’incidente fu indirettamente causato dalla fuga dal castello di Ambrogino Visconti, al tempo prigioniero nelle segrete.

Col diffondersi della notizia il popolo andò nel panico: nell’immaginario collettivo quella sciagura sarebbe stata responsabile di eventi funesti e probabilmente il collasso della città.

Giovanna I d’Angiò, al contrario, era molto più smaliziata e certamente non credeva in tali superstizioni. Tuttavia, si rese conto che bisognava inventarsi qualcosa per tranquillizzare le paure del suo popolo.

Fu costretta quindi a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l’uovo di Virgilio con uno altro altrettanto magico, che la città poteva godere ancora di longevità e buona salute. I napoletani accettarono, o vollero accettare, la benevola frottola della regina Giovanna e ritornarono sereni ai loro reali e più concreti problemi quotidiani.

Soverchiata poi e fatta prigioniera dell’assalto di suo nipote Carlo di Durazzo, che mise sotto assedio il Maschio Angioino, dove Giovanna si era rifugiata, malgrado i tentativi di liberarla del quarto marito, fu confinata nel castello di Muro Lucano. L’antipapa nel frattempo fu costretto alla fuga, mentre Carlo di Durazzo veniva investito della sovranità di Napoli.

Una volta re, si affrettò ad ordinare l’assassinio della zia per assicurarsi la sovranità assoluta.

Si narra che la regina Giovanna fu brutalmente soffocata da un cuscino di piume, a Muro Lucano, il 12 maggio del 1382.

La sua vita viene narrata in modo intenso: intrighi, ruoli politici e sociali, quattro matrimoni infelici, le morti premature dei suoi figli, molti amanti.

Sulla storia iconica della prima regina di Napoli prende piede una narrazione oscura e stregonesca, comune a molte donne intelligenti della storia che si sono mostrate poco inclini ad un destino patriarcale.

Questa donna, vittima di un vero e proprio femminicidio di stato, fu ispiratrice di superstizioni e leggende, da Napoli fino in Provenza, la leggenda più conosciuta nella tradizione napoletana è quella che narra intorno alla sua morte. Non si conosce precisamente il luogo in cui sono state seppellite le sue spoglie, ma si racconta che in una mattina del luglio del 1382, non lontana dal giorno del suo assassinio, il corpo della bella angioina fu pubblicamente esposto nella chiesa di Santa Chiara, perché nessuno dubitasse della sua morte.

Da allora pare che, nella ricorrenza dell’anniversario della sua morte, appaia e si aggiri, nel chiostro della chiesa, non lontana dal palpitante cuore di Napoli, il suo fantasma. Lo spirito avanza lentamente lungo i vialetti del chiostro maiolicato col capo chino, gli occhi socchiusi a concentrarsi nella sua preghiera, mani pallide giunte davanti al petto e con un lungo abito nero a coprire interamente il corpo scarno e, solo raramente, si soffermerebbe, per rivolgere il suo sguardo vuoto al cielo.

Si tramanda che, chiunque abbia avuto la sfortuna di disturbare la sua preghiera o semplicemente il suo cammino, sia deceduto istantaneamente. La leggenda popolare, infatti, vuole che durante queste sue passeggiate, il volto appaia così terribile da determinare la morte di chiunque incroci il suo sguardo. Il tremendo volto deriverebbe proprio dalle smorfie del dolore straziante che la regina espresse mentre il respiro e l’anima lasciavano il suo corpo, lentamente, sotto l’ombra del cuscino. Del resto, chi si è imbattuto in questo spirito, non può essere qui a testimoniarlo.

 

di Ilaria De Felice