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Cambiamento climatico, quali sono le cause e come combatterlo

L’habitat è il luogo, in cui caratteristiche fisiche e ambientali possono permettere ad una determinata specie di vivere. L’habitat del genere umano è la Terra: l’uomo è riuscito a colonizzarla tutta, dal polo nord al polo sud, lasciando tracce del suo passaggio ovunque, anche nel mare e nell’aria.
Tutto ciò che la natura ci ha dato è fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie eppure, invece di preservare queste cose, proteggerle e cercare di farle proliferare, le distruggiamo: abbattiamo le foreste, inquiniamo i mari e l’aria, emettiamo quantitativi spropositati di CO2, devastando, incoscientemente, il nostro habitat e mettendo a rischio la nostra stessa incolumità.

L’impatto delle attività umane sull’ambiente è aumentato negli ultimi due secoli, da quando
abbiamo iniziato a usare i combustibili fossili che causano grandi emissioni di CO2; a produrre molta più spazzatura che non viene smaltita nel modo corretto ad abbattere sempre più alberi per costruire nuovi centri abitati e reperire più materiali. E così i gas serra che trattengono parte del calore riemesso dalla superficie terrestre, sono aumentati, provocando un riscaldamento della Terra che ha causato lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari; sono aumentate le alluvioni e i disastri meteorologici e l’assenza di alberi che con le loro radici trattengono il terreno, ha fatto sì che si verificassero numerose frane e valanghe di terra e fango. Lo scorretto smaltimento dei rifiuti ha avvelenato il mare e la terra, facendo ammalare i pesci e le piante e rendendo tossico, di conseguenza, il cibo che noi stessi mangiamo. In poche parole, stiamo uccidendo il nostro pianeta e tutte ciò che lo abita, inclusi noi stessi.
Negli anni ‘70, per la prima volta, l’uomo è riuscito finalmente a rendersi conto di ciò che stava facendo: si capì che la limitatezza delle risorse energetiche usate fino a quel momento, come il petrolio e il carbone, era causa di un limite per lo sviluppo economico e che l’unico modo per evitare ciò era attuare un modello economico e soprattutto di vita più sostenibile, che rispettasse l’ambiente e ci consentisse di vivere su questo pianeta ancora a lungo. Avvenne, per la prima volta, una presa di coscienza ambientale.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, infatti, ancora oggi, nonostante il Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro, nel 1992, e il Protocollo di Kyoto del 1997, le cose sono cambiate molto poco. Solo negli ultimi anni, il movimento ambientale mondiale ha ripreso piede, in particolare grazie a Greta Thunberg, attivista svedese per il clima che, spaventata all’idea che la specie umana possa subire la sesta estinzione di massa a causa del cambiamento climatico, ha concentrato tutte le sue forze per far sì che il mondo, e in particolare la classe politica, si accorgesse del problema e si impegnasse per risolverlo. Greta, anche con la creazione del movimento studentesco “Fridays for future” che ha organizzato proteste mondiali a cui hanno partecipato milioni di ragazzi, ha fatto aprire gli occhi a molti su un problema che rischiava di passare di nuovo in secondo piano.
La crisi ambientale che stiamo vivendo è, in realtà, un problema di primissimo piano. Attualmente, gli scienziati ci dicono che abbiamo ancora sette anni per evitare che l’aumento della temperatura media globale superi 1,5 C°, dopodiché non si sa cosa potrebbe succedere. Probabilmente, ci ritroveremmo nel futuro cantato dagli Eugenio in Via di Gioia in “La punta dell’iceberg”, in cui molte terre, come Venezia, l’Olanda o le Maldive, saranno sommerse, e l’uomo, unico sopravvissuto, sarà costretto a diventare vegano, poiché tutti gli altri animali saranno estinti.

Cosa potremmo fare per fermarci e invertire questo preoccupante avvenire? Prima di tutto servirebbe un impegno concreto da parte dei governi di tutto il mondo per controllare le emissioni di CO2 e bisognerebbe iniziare a investire nella ricerca di nuove fonti rinnovabili e nell’uso di quelle che abbiamo già. Nel nostro piccolo, però, possiamo già fare qualcosa: potremmo mangiare la carne meno spesso, poiché gli allevamenti di animali da macello sono tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra; potremmo cercare di ridurre l’uso di plastica monouso, che può essere riciclata solo con molta difficoltà, non è biodegradabile e il
suo smaltimento nei mari, oltre ad aver creato un’isola di plastica più grande della penisola iberica, causa numerosissimi problemi all’ecosistema marino; potremmo comprare vestiti di seconda mano o fare solo acquisti mirati a capi di qualità, per ridurre il fast fashion che ha un grandissimo impatto non solo sull’ambiente, a causa dei metodi di produzione e della bassa qualità dei materiali usati, ma anche sui lavoratori dei paesi in via di sviluppo; potremmo usare meno la macchina e più biciclette, mezzi pubblici e, per i grandi spostamenti, i treni.
Potremmo fare tante piccole cose ma, per far sì che i nostri sforzi non siano vani, c’è bisogno che tutti gli 8 miliardi di abitanti di questo pianeta si impegnino attivamente nella lotta al cambiamento climatico. Come convincere tutti a fare ciò? I comportamenti sono difficili da cambiare, a meno che non si assista a qualcosa che provochi in noi una specie di catarsi, un qualcosa che ci faccia riaprire gli occhi e ci risvegli in profondità. Secondo alcuni questo qualcosa potrebbe essere la vista del nostro pianeta dallo spazio, da cui la Terra appare come una palla blu sospesa nel vuoto che potrebbe collassare da un momento all’altro: questa immagine che rappresenta una realtà fragile e composta da miliardi di persone in cui tu non sei niente, potrebbe far suscitare nelle persone il desiderio di proteggere la nostra casa.
La paura che la Terra possa veramente collassare e tutte le specie, compresa la nostra, estinguersi, potrebbe far agire le persone in maniera differente. La mancata percezione di una minaccia imminente, però, rende inattuabile questo cambiamento. Il problema principale è proprio questo: non riusciamo ad accorgerci dell’imminenza del problema, procrastiniamo la sua risoluzione, concentrandoci su cose che adesso riteniamo più importanti, ma che non avranno nessun valore in futuro; non riusciamo ad avere uno sguardo lungimirante e non riusciamo a capire che la crisi climatica va risolta ora e non quando sarà, ormai, troppo tardi.
Fabiana De Luca IIIA